Ospite da Michele Santoro su La7, Di Battista affronta un tema chiave della riforma elettorale voluta da Matteo Renzi, ossia la revisione del ruolo del Senato e la proposta di passare ad un sistema unicamerale. Egli sostiene che Renzi non sia ben informato sui costi del Senato e a tal riguardo ha un po’ ragione e un po’ torto.
Partiamo dal fatto che Renzi non ha mai detto che il Senato costa un miliardo alle tasche degli italiani: quello che ha invece sostenuto finora è che si potrebbero introdurre risparmi fino ad un miliardo tagliando i costi della politica (si veda qui per una dichiarazione di Renzi sul tema). Queste due affermazioni sono decisamente diverse. In base allo studio condotto da Roberto Perotti per Lavoce.info, il costo totale della politica a livello nazionale (Camera e Senato) e locale (Consigli regionali e provinciali) è pari a 2,5 miliardi di euro. Le spese relative al Senato ammontano a circa 480 milioni, di cui Perotti stima si potrebbe risparmiare circa il 42% ovvero 200 milioni. In totale, facendo una operazione di spending review si potrebbe tagliare, sempre secondo Perotti, circa un miliardo di euro, ottenuti non solo però dalla riduzione di spesa in Senato (Perotti non parla di abolizione, a differenza di Renzi che non è quindi precisissimo) ma anche da Camera, Consigli regionali e provinciali.
E’ vero quindi che il costo del Senato non è un miliardo (per il dato preciso si veda pag. 10 del bilancio), ma d’altra parte nemmeno Renzi ha mai sostenuto il contrario: la proposta del segretario Pd è ben diversa, come fa notare anche Santoro durante l’intervista.
Passando invece ai 2,7 miliardi di euro, dal contesto dell’intervista ci sembra di capire che Di Battista si riferisca ai finanziamenti ai partiti ricevuti dal 1993 al 2013. La questione della legitimità di questi fondi è stata anche sollevata dal procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, il quale ha sottolineato che tutte le leggi che, a partire dal 1997, hanno reintrodotto il finanziamento pubblico dei partiti, lo avrebbero fatto in difformità con quanto proclamato dai cittadini con il referendum dell’aprile 1993. Indicativo a tal proposito è il seguente passaggio che potete leggere nel documento (consultando la banca dati delle sentenze della Corte dei Conti e cercando la sentenza n. 914 del 2013 del Lazio):
Il contrasto con l’art. 75 Cost. – secondo il procuratore regionale – “Va evocato per lamentare la violazione del divieto di ripristino della normativa abrogata mediante referendum, quale massima espressione della sovranità popolare, ai sensi dell’art. 1 della Cost., quale significativa ed ineludibile manifestazione di democrazia diretta. Con il referendum del 18 e 19 aprile 1993 il corpo elettorale ebbe ad affermare l’inequivoca volontà di negare i contributi statali ai partiti politici, in qualsiasi modo e sotto qualsiasi forma concessi ed erogati. Le disposizioni posteriori, che hanno introdotto il rimborso elettorale al posto del finanziamento pubblico, sono da ritenersi apertamente elusive e manipolative del risultato referendario dell’aprile 1993”.
Il dato di 2,7 miliardi di euro deriva da un calcolo della Corte dei Conti sui contributi totali erogati ai partiti nelle tornate elettorali dal 1994 al 2008. Come si legge nella tabella 2 a pagina 180, l’ammontare di rimborsi elettorali (considerando elezioni regionali, politiche ed europee) è pari a 2,25 miliardi di euro, a cui vanno aggiunte le spese per il 2009, 2010, 2011, 2012, pari a circa 642 milioni di euro. Un totale di 2,89 miliardi di euro a cui vanno sottratti 20 milioni di euro l’anno a partire dal 2008 (100 milioni di euro per il periodo) in base a quanto previsto nell’art. 2, comma 275 della legge n. 244/2007 (finanziaria per il 2008). In totale, quindi, si tratta di circa 2,79 miliardi di euro. Una cifra simile (2,76 miliardi), che tuttavia manca dell’aggiornamento per il 2013, è riportata nel libro “I soldi dei partiti: tutta la verità sul finanziamento alla politica in Italia” di Elio Veltri e Francesco Paola.
Complessivamente Di Battista guadagna un “Nì”: ha attribuito a Renzi parole non sue ma ha correttamente citato il dato sui rimborsi elettorali.