In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha riportato un dato che riguarda la diffusione dell’analfabetismo funzionale in Italia. L’esponente del Pd ha dichiarato che questo fenomeno coinvolge oltre un quarto della popolazione italiana (per la precisione, il 28 per cento).

Verifichiamo.

Chi è un analfabeta funzionale?

Il concetto di analfabetismo funzionale è definito, a livello internazionale, da alcuni decenni. Nel 1978, ad esempio, un documento dell’Unesco ha delineato alcuni concetti chiave per uniformare le misurazioni statistiche sui livelli di educazione dei vari Paesi.

Tra quei concetti c’è anche l’analfabetismo funzionale, definito come l’incapacità di un individuo a «prendere parte in tutte quelle attività in cui è richiesta l’alfabetizzazione per il funzionamento efficace del proprio gruppo o della propria comunità», oltre che «per permettergli di continuare a leggere, scrivere e fare calcoli per lo sviluppo proprio e della comunità di appartenenza». La definizione è ripresa anche dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).

Dunque, un analfabeta funzionale è colui che, pur possedendo delle capacità basilari nella comprensione dei testi e nel calcolo matematico, non ha le competenze sufficienti richieste dalla società contemporanea.

Carlo Calenda, durante l’intervista, ha fatto riferimento a un suo recente libro dal titolo Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio (Feltrinelli). Un passo del libro (consultabile qui) riporta una definizione di analfabetismo funzionale simile a quella fornita dall’Unesco e l’autore sottolinea come il concetto sia «intrinsecamente sfuggente in quanto dinamico: è il rapporto tra complessità della realtà e mezzi culturali per affrontarla».

Ma passiamo ai dati.

 

 

 

Lo studio dell’OCSE


Il Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) è un programma ideato dall’Ocse con la finalità di monitorare i livelli di istruzione e competenza degli individui nei diversi Stati membri dell’organizzazione (che sono 57). I dati riportati da Carlo Calenda all’interno del suo libro provengono da questa fonte. Il rapporto più recente, pubblicato nel 2016, si intitola Skills Matter – Further results from the survey of adult skills.

Come viene riportato all’interno della nota metodologica, i dati sono raccolti attraverso la compilazione di questionari e il risultato è valutato su una scala di cinquecento punti. A un punteggio più elevato corrispondono più elevate capacità dell’individuo.

Sono principalmente due le aree di competenza prese in esame: le competenze linguistiche e, quindi, la capacità di analizzare in modo corretto i testi scritti, e le competenze matematiche.

All’interno dello studio non si fa mai riferimento al concetto di analfabetismo funzionale ma si parla, al contrario, di diversi livelli di competenza (dal livello inferiore all’1 al livello 5). Un individuo che rientra nel livello 1 nella categoria di literacy è, ad esempio, in grado soltanto di portare a termine la lettura di testi medio-brevi e di individuare l’informazione principale. Le persone che invece rientrano nel livello 5 sono in grado di «sintetizzare informazioni contenute in testi diversi, elaborare concetti astratti e valutare tra diversi punti di vista sulla base di argomenti a favore o contro».

Dall’indagine Ocse-Piaac, risulta che in Italia il 27,7% delle persone tra i 16 e i 65 anni «possiede competenze linguistiche di livello 1 o inferiore». Per quanto riguarda, poi, le competenze matematiche, il «32% degli italiani ha competenze di livello 1 o inferiore».

Se il primo dato è in linea con quello citato dall’esponente del Pd («28%»), il secondo lo è di meno, anche se chi ha scarse competenze matematiche rientra comunque tra gli “analfabeti funzionali”. Come abbiamo sottolineato, poi, l’Ocse non parla mai, nello specifico, di analfabeti funzionali – pur avendone condiviso la definizione – quanto piuttosto di individui che hanno generali incapacità o difficoltà valutate sulla base della scala di livelli ideata dal Piaac.

I low skilled italiani e quelli degli altri Paesi

L’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inaap) fornisce una rielaborazione dei dati delle indagini Ocse-Piaac e approfondisce il livello di educazione e di competenze della popolazione italiana. La finalità è quella di presentare «i low skilled in Italia in relazione alle caratteristiche socio-demografiche, alla condizione lavorativa ed alla partecipazione ad attività di apprendimento».

Ma chi sono i low skilled? Come riporta l’Inaap, con questa espressione si indicano tutti quegli individui che possiedono, in generale, un basso livello di competenze. Inoltre, la ricerca sottolinea come «il concetto di low skilled è inoltre spesso associato a quello di analfabetismo, individuando due tipi di analfabetismo quello tradizionale e quello funzionale»*.

Passiamo ora al confronto con gli altri Paesi.

Ne la ricerca Il Secondo Round dell’indagine OCSE-PIAAC: le competenze per vivere e lavorare oggi (qui scaricabile), pubblicata a fine 2016, sono messe a confronto le competenze degli italiani e dei cittadini di altre trentatré nazioni prese in esame.

Vediamo che cosa ci dicono i dati.

In tutti i Paesi presi in esame sono presenti adulti che si collocano ai livelli più bassi per competenze linguistiche e/o matematiche. Questo fenomeno, infatti, interessa anche quelle nazioni che si trovano in cima alla lista per preparazione e capacità. L’Inaap riporta come esempio il Giappone: primo in classifica per compentenze dei propri cittadini, ma con un valore pari al 9 per cento** di cittadini con competenze insufficienti.

In Italia i dati sono piuttosto scoraggianti: peggio del nostro Paese fanno solamente Indonesia (Giacarta), Turchia, Singapore, Spagna e Isreale. In particolare, l’Inaap sottolinea come gli italiani compresi nella fascia di età tra i 16 e i 65 anni che possono potenzialmente avere competenze insufficienti nell’ambito letterario o in quello matematico o in entrambi raggiungano un valore di poco inferiore al 40 per cento*** della popolazione.



Grafico 1: Individui che si collocano nei livelli più bassi di comprensione del testo e/o di capacità di calcolo – Fonte: Elaborazione Isfol su dati Ocse‐PIAAC 2012‐2015****

Il verdetto

Carlo Calenda ha affermato che il 28 per cento degli italiani rientra nella categoria degli analfabeti funzionali.

Il rapporto pù recente stilato dall’Ocse (Skills Matter), pur non utilizzando l’espressione “analfabetismo funzionale”, condivide un dato simile a quello citato dall’ex ministro dello Sviluppo economico: in Italia, il 27,7 per cento degli adulti rientra tra coloro che non possiedono le competenze linguistiche richieste dalla società contemporanea. Questo dato è in linea con i rapporti pubblicati dall’Inaap. L’Ocse condivide anche un secondo dato relativo agli italiani con insufficienti capacità matematiche (32 per cento della popolazione) che non viene citato da Calenda e che aumenta il numero totale degli individui con difficoltà. Carlo Calenda merita un “C’eri quasi”.




* L’equivalenza tra low skilled e analfabetismo è stata fatta da diverse testate nazionali che hanno ripreso i risultati dello studio o altri simili, da Agi al Corriere della Sera e all’Espresso.


** Download > pag. 36.


*** Download > pag. 37.


**** Download > pag. 37.

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2018-10-18 14:24:54 UTC


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C’eri quasi




«Un Paese in cui l’analfabetismo funzionale è al 28% non ha ne futuro ne presente. Questo deve essere il nostro New Deal».





Carlo Calenda



Partito democratico

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Corriere della Sera


mercoledì 10 ottobre 2018


2018-10-10

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