In un tweet, il capogruppo di Forza Italia alla Camera affronta il tema delle preferenze, uno dei tanti argomenti caldi della riforma della legge elettorale. In un sistema proporzionale, per voto di preferenza si intende la possibilità per l’elettore di indicare, al momento del voto, uno o più candidati specifici all’interno di una lista elettorale.
Il primo dei referendum di cui parla Brunetta risale al 9 giungo del 1991 (il testo è reperibile qui). Nonostante l’invito di Craxi di “andare al mare”, gli italiani si recarono alle urne numerosi. Al referendum parteciparono 29,6 milioni di persone (62,5% degli aventi diritto) con 28,1 milioni di voti validi, il 95,6% dei quali si espresse a favore dell’abrogazione della preferenza plurima alla Camera del Deputati. Il referendum non rimosse del tutto il sistema di preferenze, lasciando ai cittadini la possibilità di esprimere una sola preferenza. In questo modo si riteneva che i risultati elettorali avrebbero meglio rispecchiato la popolarità di ciascun candidato, al di là dei voti che avrebbe potuto ottenere dalle ‘seconde preferenze’ di elettori di altri candidati e dando quindi minor adito a giochi di potere tra candidati (come in questo spezzo de Il portaborse di Moretti).
Il secondo referendum, promosso dai Radicali, è quello del 18 aprile 1993, e toccava diversi temi: dagli stupefacenti al finanziamento pubblico ai partiti (sintesi in questo documento). Uno dei quesiti chiedeva l’abrogazione della legge elettorale dei Senato, a favore di un sistema maggioritario. Anche questo referendum raggiunse il quorum, con il 77% di partecipazione (36,9 milioni di persone) e 82,7% di voti affermativi. Seguì la legge elettorale promossa da Sergio Mattarella, il Mattarellum appunto, (si veda qui per il testo al Senato e qui per la Camera) che raccoglieva i risultati del referendum, introducendo un sistema maggioritario con liste bloccate e senza la possibilità di esprimere preferenze.
Quindi è vera la prima parte dell’affermazione di Brunetta, secondo cui due referendum si sono espressi contro le preferenze.
Passiamo ora all’affermazione “In Europa quasi da nessuna parte esistono”.
Esistono parecchi Paesi europei che hanno quello che si chiama un sistema proporzionale con lista aperta o flessibile. Vediamo cosa significa. Nei sistemi con lista aperta l’elettore esprime un voto di preferenza, e l’ordine dei candidati nelle varie liste è determinato solo dal numero di preferenze che ogni candidato ha raccolto. Anche nei sistemi a lista flessibile l’elettore esprime un voto di preferenza ma l’ordine dei candidati nelle varie liste è determinato dal partito e può essere soggetto a modifiche solo ad alcune specifiche condizioni. Questi sistemi si distinguono dalle liste bloccate in cui l’elettore non può esprimere alcuna preferenza e l’ordine dei candidati è prestabilito dal partito.
In questo documento del Cise (Centro Italiano Studi Elettorali) dell’Università Luiss di Roma, leggiamo che in Europa hanno un sistema con liste aperte Grecia, Polonia e Finlandia. Nel caso finlandese e polacco si parla di ‘preferenza obbligatoria’ perchè per votare l’elettore è tenuto a esprimere la preferenza. Se consideriamo anche le liste flessibili, molti più Paesi rientrano nel quadro: Austria, Belgio, Norvegia, Svezia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi. A questi si aggiungono Estonia, Lettonia, Slovenia e Slovacchia (per quest’ultima si veda l’appendice 1 del documento). Anche Cipro, Irlanda, Malta, Lussemburgo, permettono a vari livelli di esprimere una preferenza. La Lituania ha un sistema misto. La Danimarca ha una lista definita variabile, in cui ogni partito sceglie il tipo di organizzazione delle liste con cui si presenta al voto.
Nelle liste flessibili esistono in genere condizioni che permettono al candidato che ha preso un certo ammontare di preferenze di ‘risalire’ l’ordine della lista fissato in precedenza dal partito. Per esempio, nel caso Belga il candidato che ha ottenuto un numero di preferenze pari al numero di voti ottenuti dal partito diviso il numero di seggi da distribuire +1 può risalire la lista. In Norvegia l’ordine è modificabile se più del 50% degli elettori di quella lista vota la stessa modifica. Similmente in Repubblica Ceca i candidati che ottengono più del 50% dei voti di preferenza espressi “scalano” la lista.
In alcuni casi il termine “lista aperta” (open list) viene utilizzato sia per indicare le liste aperte come nell’esempio della Finlandia, che per indicare le liste flessibili, dal momento che viene data la possibilità all’elettore di esprimere una preferenza.
Su un totale di 28 Paesi appartenenti all’Unione Europea, 17 (la Norvegia non fa parte dell’Ue, e non consideriamo la Lituania per il suo sistema misto) consentono, a vari livelli, di esprimere delle preferenze. Si tratta di oltre il 60% del totale. I restanti Paesi risultano invece avere collegi uninomali e/o liste bloccate: Francia, Germania, Regno Unito e Spagna; Croazia e Ungheria; Bulgaria; Portogallo; Romania.
In molti Paesi anche la votazione per il Parlamento Europeo avviene tramite lista aperta. In Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia gli elettori possono modificare l’ordine delle liste partitiche attraverso la preferenza. Le liste sono invece bloccate per Francia, Germania, Grecia, Portogallo, Spagna e Regno Unito. In Irlanda, Irlanda del Nord e Malta l’elezione non avviene a scrutinio di lista.
Non è quindi corretto dire che quasi da nessuna parte esistono le preferenze. Le preferenze esistono in più della metà dei Paesi Europei, con vari gradi di apertura e impatto sull’ordine finale dei candidati.
“Nì” per Brunetta.