Il 27 novembre, in un question time alla Camera, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha commentato i rapporti commerciali tra Italia e Cina, la sua recente visita all’Expo di Shangai e il progetto della “Nuova via della seta”.
Secondo Di Maio, «più della metà dei Paesi europei ha firmato un Memorandum of understanding sulla Belt and Road Initiative», il nome ufficiale con cui è nota la gigantesca campagna di investimenti in infrastrutture promossa dalla Cina con l’obiettivo di sviluppare la rete di collegamenti, terrestri e marittimi, in Asia e tra Asia e resto del mondo.
Il capo politico del Movimento 5 stelle dice davvero la verità? Abbiamo verificato.
Che cos’è la “Nuova via della seta”
La Belt and Road Iniziative (Bri – in cinese yi dai yi lu, traducibile con le parole “cintura” o “via”) è un progetto infrastrutturale annunciato per la prima volta a settembre 2013 dal presidente cinese Xi Jinping.
In parole semplici, spiega il sito ufficiale della Bri, la “Nuova via della seta” – come viene spesso chiamata l’opera dalla stampa e nel dibattito politico – consiste nella realizzazione di una rete infrastrutturale, sia via terra che via mare, per aumentare l’espansione dell’economia cinese verso altri Paesi dell’Asia, del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Europa.
Secondo una stima della Banca mondiale fatta nel 2018, nel complesso la Bri potrebbe arrivare a coinvolgere un terzo del commercio mondiale e oltre il 60 per cento delle popolazione della Terra.
Il coinvolgimento della Cina non consiste solo nel finanziare negli altri Paesi la costruzione di strade, porti e ferrovie, ma anche nel mandare direttamente operai per realizzare i progetti in cantiere.
Nel complesso, secondo un approfondimento di settembre 2019 realizzato sul tema dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), il progetto sembra comunque andare «ben oltre le reti di trasporto: la Bri persegue infatti l’aumento della connettività e dell’integrazione internazionale della Cina non solo sul piano infrastrutturale, logistico e commerciale, ma anche culturale, energetico e finanziario fino a diventare un vero e proprio strumento di politica estera».
Che cosa ha firmato l’Italia
Il 23 marzo 2019, l’allora governo Lega-M5s ha firmato un “Memorandum d’intesa” (Memorandum of understanding, MoU) con la Cina, che in sostanza è stato il primo passo per fornire ai due Paesi un quadro comune in cui inserire altre separate intese – istituzionali e commerciali, già firmate – nei settori del commercio, dell’energia, dell’industria, delle infrastrutture e del settore finanziario.
«Attraverso la firma del Memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, che non ha valore di accordo internazionale e non dà pertanto luogo ad impegni giuridicamente vincolanti, il governo italiano raggiunge un’intesa quadro volta a individuare scopi, principi e modalità di collaborazione nel grande progetto di connettività eurasiatica», scriveva il giorno della firma del memorandum il sito ufficiale del Ministero dello Sviluppo economico. «Un progetto che l’Italia guarda con favore anche per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo».
All’epoca della firma, erano emerse critiche e preoccupazioni da parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti per la scelta del governo italiano. Il rischio rilevato da alcuni osservatori è, semplificando, che con la Bri la Cina possa aumentare le sue influenze in maniera eccessiva in Italia e nel continente europeo.
«Il tema aperto è che non è chiaro quali vincoli comporti all’Italia la firma dell’MoU, dal momento che questo tipo di accordo non è codificato nel diritto internazionale», ha spiegato a Pagella Politica Alessia Amighini, professoressa di economia all’Università del Piemonte orientale e co-direttrice dell’Osservatorio Asia all’Ispi. «Nella gerarchia delle nostre fonti, questo memorandum non dovrebbe vincolarci, ma è evidente che un’intesa tra la Repubblica popolare cinese e un altro Paese per la Cina ha il suo significato. Che cosa abbia comportato e comporterà il testo firmato dall’Italia non lo sappiamo però ancora bene».
Quanti Paesi Ue sono coinvolti?
Chiarito che cos’è la Bri e la posizione dell’Italia, vediamo se è vero, come dice Di Maio, che «più della metà dei Paesi europei ha firmato un Memorandum of understanding sulla Belt and Road Initiative».
«Non esiste un vero e proprio elenco ufficiale di Stati che hanno firmato memorandum d’intesa con la Cina sulla Belt and Road Initiative, perché come abbiamo visto è già di per sé difficile definire con chiarezza che cos’è un MoU», ha sottolineato Amighini.
«Esistono diversi formati che la Cina si è inventata per tessere relazioni con gli altri Paesi, e l’MoU è uno di questi. Il sito ufficiale dell’opera a riguardo è poco chiaro, perché contiene Stati che hanno firmato intese più “leggere”, per così dire, di un MoU, ma i termini non sono così innocui».
Secondo un calcolo fatto da Ispi a marzo 2019, all’epoca della firma dell’Italia erano 13 i Paesi Ue ad aver siglato MoU con la Cina per la Belt and Road Initiative. Questo numero è stato indicato anche all’Ansa, nello stesso periodo, da fonti interne all’Ue.
I 13 Stati membri ad aver firmato memorandum d’intesa specifici sul progetto sono: Bulgaria; Croazia; Repubblica Ceca; Estonia; Ungheria, la prima a firmare tra gli Sati Ue, nel 2015; Grecia; Lettonia, la prima tra i Paesi baltici, nel 2016; Lituania; Malta; Polonia; Portogallo; Slovacchia; e Slovenia. A questi, il 27 marzo scorso, si sono aggiunti il Lussemburgo (a fine marzo 2019) e Cipro (a settembre 2019). Compresa l’Italia, il numero sale dunque a 16 Paesi (su 28 Stati membri).
Se poi si allarga il campo d’indagine, si scopre che altri Paesi europei, non membri della Ue, hanno siglato intese con la Cina nell’ambito della Bri. Tra questi figurano Turchia, Azerbaijan, Bielorussia, Russia, Georgia, Ucraina e Moldavia.
Ad oggi, l’Italia resta comunque l’unico Paese del G7, l’unico tra i fondatori dell’Ue e l’unico tra gli Stati membri Ue più grandi, ad aver siglato un memorandum d’intesa con la Cina per la “Nuova via della seta”. Non hanno siglato memorandum o accordi Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Romania, Belgio, Paesi Bassi, Austria, Svezia, Finlandia, Irlanda e Danimarca.
I rapporti tra Cina e Centro-est Europa
Nel 2012, la Cina ha inoltre siglato con 16 Paesi europei un accordo di cooperazione, chiamato Cooperation between China and Central and Eastern European Countries (“Cooperazione tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e dell’Est”, Ceec).
Come spiega il sito ufficiale della Ceec, l’intesa coinvolge nello specifico 11 Paesi membri dell’Ue (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia) e 5 Paesi dei Balcani (Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Serbia). Ad aprile 2019, in questo accordo di cooperazione – che prevede riunioni periodiche tra i membri – è entrata a far parte anche la Grecia (facendo passare il nome dell’intesa da “16+1” a “17+1”). L’Italia non risulta invece coinvolta.
«Il 17+1 è una cosa diversa dalla questione degli MoU firmati dai vari Paesi, perché è un’iniziativa che mette insieme diversi Stati in una sorta di forum, ma non comporta la firma automatica di MoU», ha chiarito Amighini. «Possono esserci comunque delle sovrapposizioni tra i Paesi che fanno parte del Ceec e quelli che hanno siglato MoU sulla Belt and Road Initiative, basti pensare alla Grecia e ai suoi stretti legami con la Cina».
In ogni caso, una cosa è siglare un documento di Stato, come il memorandum d’intesa – nel nostro caso la Repubblica italiana e la Repubblica popolare cinese – un’altra cosa è invece il 17+1.
«Un Memorandum of Understanding ricordiamo che resta a tutti gli effetti un documento di Stato e fa riferimento esplicito alla Belt and Road Initiative, che è un obiettivo di Stato, ossia del Partito comunista cinese», ha sottolineato Amighini.
Ad aprile 2019, si era parlato di un ingresso dell’Austria nella Ceec, alla quale partecipa come “osservatore”, senza però aver siglato un memorandum d’intesa come fatto dal nostro Paese.
Il verdetto
In un question time alla Camera, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha detto che «più della metà dei Paesi europei» ha firmato memorandum d’intesa con la Cina per il progetto Belt and road initiative.
Abbiamo verificato e il capo politico del M5s ha ragione.
Ad oggi, sono 16 – compresa l’Italia – i Paesi membri Ue che hanno sottoscritto MoU con la Cina. Dunque più della metà.
A questi possiamo aggiungere anche gli Stati balcanici e altri Paesi europei in un’accezione più ampia del termine. In questo caso per calcolare la metà dovremmo prima stabilire quali siano i Paesi “europei”. Considerato il dibattito aperto sul punto, e considerato che Di Maio faceva molto probabilmente riferimento alla sola Ue, il capo politico del M5s si merita un “Vero”.
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7 dicembre 2024
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