In seguito all’intesa raggiunta da Germania, Francia, Italia e Malta sugli sbarchi di migranti, la politica italiana è tornata a discutere del contributo della Ue – o meglio, di alcuni Stati membri – nella gestione dei flussi migratori. Se da una parte il governo ha espresso apprezzamenti per il sostegno ricevuto dai partner europei, dall’altra l’opposizione ha descritto l’intesa come «una fregatura».
Il deputato della Lega Riccardo Molinari, in un’intervista rilasciata il 24 settembre a La Stampa (a pagina 2), ha motivato le sue critiche anche con il fatto che, secondo l’onorevole, il «Trattato di Dublino» rimane in vigore e che «senza unanimità non può essere cambiato».
Questa affermazione è però sbagliata.
Il trattato di Dublino è… un regolamento
Il «Trattato di Dublino» di cui parla Molinari non è un trattato, bensì un regolamento (regolamento Ue 604/2013): il regolamento Dublino III. La distinzione non è solo formale: i trattati europei sono fonti primarie, modificabili solo all’unanimità, i regolamenti sono invece fonti secondarie, normalmente modificabili a maggioranza. Ma ci torneremo più avanti.
Il regolamento di Dublino III ha come obiettivo principale quello di stabilire «i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri».
Negli anni il regolamento è stato fortemente criticato per una regola particolare: il cosiddetto criterio di “primo ingresso” (art. 13 del regolamento). Secondo questa norma, se un richiedente arriva illegalmente in Europa attraverso la frontiera di uno Stato membro (ad esempio, sbarcando sulle sue coste) quest’ultimo – salvo eccezioni – diventa responsabile della gestione della domanda di protezione nazionale del richiedente e si fa carico dei costi, economici e sociali, conseguenti.
Ciò significa che i principali Paesi di arrivo dei migranti irregolari (come, ad esempio, l’Italia e la Grecia) si trovano a gestire un numero di domande superiori a quelle dei Paesi lontani dai confini europei.
Per questa ragione, da tempo Paesi come il nostro chiedono di rivedere questi criteri in modo da avere una distribuzione più equa dei migranti che arrivano irregolarmente in Europa.
Ad oggi il regolamento è ancora in vigore, come sostiene Molinari, e l’accordo di Malta non lo elimina. Potrebbe infatti essere sostituito solo da un’iniziativa portata avanti all’interno dell’Unione europea e non solo da alcuni Stati membri. Tuttavia, come vedremo, l’unanimità all’interno della Ue non è necessaria.
Come si modifica un regolamento europeo?
Il regolamento di Dublino è stato adottato all’interno dello “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” dell’Unione europea. Qui valgono, di norma, le regole del metodo comunitario, che prevede le decisioni vengano prese a maggioranza e non all’unanimità.
In particolare il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue) stabilisce (articolo 79) che le misure prese dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea in ambito di politica comune dell’immigrazione si basano sulla cosiddetta “procedura legislativa ordinaria”.
Per quanto riguarda in particolare il Consiglio, come riporta il suo sito web, questa procedura richiede che venga raggiunta una “doppia maggioranza”, di popoli e Stati. La decisione, cioè, deve essere approvata dal 55 per cento degli Stati membri (pari a 16 su 28) che devono contemporaneamente rappresentare almeno il 65 per cento della popolazione dell’Unione.
Una “minoranza di blocco” deve quindi pesare almeno per il 35 per cento della popolazione (circa 170 milioni di persone sui circa 500 milioni totali). Non solo: per evitare che tre grandi Stati fossero in grado di bloccare iniziative legislative condivise dagli altri 25 membri dell’Ue, è stato deciso che della minoranza di blocco debbano far parte almeno quattro Stati membri.
Quindi, sebbene richieda una maggioranza qualificata, una modifica del regolamento di Dublino non necessita del voto unanime dei Paesi dell’Ue.
Per fare un esempio, il voto contrario di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia (il gruppo di Visegrad), anche con il contributo dell’Austria, non sarebbe sufficiente a bloccare la modifica del regolamento di Dublino se gli altri Stati fossero tutti d’accordo.
I precedenti tentativi di riforma
Nel corso della scorsa legislatura europea (2014-2019) era stato fatto un tentativo di modifica dei criteri del regolamento di Dublino.
Come avevamo spiegato in una precedente analisi, la Commissione Europea ha presentato nel maggio 2016 una proposta di riforma dei meccanismi stabiliti nel regolamento di Dublino. Dopo mesi di negoziati e modifiche, anche il Parlamento Europeo si era espresso a favore della riforma, dando mandato al Consiglio dell’Ue di discutere la revisione del criterio di primo ingresso.
Nonostante i tentativi di mediazione tra le istanze dei Paesi contrari a modificare il Regolamento di Dublino (come Polonia e Ungheria) e quelle dei Paesi favorevoli, la riforma è finita in un nulla di fatto.
Come riportava al tempo Politico.Eu, la causa di questo fallimento è da imputarsi al fatto che le condizioni di compromesso raggiunte non erano in linea con le richieste fatte dai Paesi di primo approdo.
Il verdetto
Il deputato della Lega Riccardo Molinari ha dichiarato che il «Trattato di Dublino […] senza unanimità non può essere cambiato».
Come abbiamo visto, questa affermazione è errata.
In quanto regolamento che si occupa di immigrazione, il Regolamento di Dublino può essere modificato tramite la procedura legislativa ordinaria. Quest’ultima richiede il voto favorevole del 55 per cento degli Stati membri che rappresentano almeno il 65 per cento dei cittadini dell’Unione Europea.
Una maggioranza qualificata, dunque, e non l’unanimità.
Riccardo Molinari merita quindi un “Nì”
«Finalmente un primato per Giorgia Meloni, se pur triste: in due anni la presidente del Consiglio ha chiesto ben 73 voti di fiducia, quasi 3 al mese, più di qualsiasi altro governo, più di ogni esecutivo tecnico»
7 dicembre 2024
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