Il 15 dicembre, ospite a Non è l’Arena su La7, il leader della Lega Matteo Salvini ha criticato (min. 55:53) l’Unione europea, colpevole – a detta dell’ex ministro – di avere ideato «un’altra genialata, che si chiama Nutri-score: un punteggio agli alimenti».

Secondo Salvini, «qualcuno a Bruxelles in direzione Sanità sta portando avanti un progetto per dire ai consumatori che la dieta mediterranea fa male: che l’olio fa male, che il prosciutto di Parma fa male, che il parmigiano e il gorgonzola fanno male, in base ai loro calcoli, mentre ad esempio la Coca Zero fa bene, le patate surgelate che poi vanno fritte fanno bene». L’obiettivo dell’Ue, ha poi aggiunto l’ex ministro dell’Interno, sarebbe quello di «mettere fuorilegge i prodotti del nostro mare e della nostra terra».

Non è la prima volta che in questo mese di dicembre Salvini attacca il Nutri-score in tv e sui social. Il 3 dicembre, ospite a Porta a Porta su Rai1, il leader della Lega aveva definito una «boiata pazzesca» il sistema di etichette in questione, mentre la sera dopo, a Stasera Italia su Rete4, Salvini aveva detto che il piano dell’Ue di «dare pagelle al cibo» è ancora «segreto». Il 17 dicembre, l’ex ministro ha invece parlato su Facebook di «boicottaggio europeo dei prodotti italiani».

Negli stessi giorni, alcuni quotidiani italiani hanno pubblicato articoli contro il sistema di etichettatura (per esempio, Libero il 5 dicembre e Il Giornale l’11 dicembre), mentre è cresciuto in Italia il numero di persone che cercava “nutriscore” sul motore di ricerca Google.

Ma che cos’è questo Nutri-score? Come e dov’è nato? Ed è vero che l’Ue vuole servirsene per penalizzare la dieta mediterranea, tipica del nostro Paese? Abbiamo verificato e no, le cose non stanno come dice Salvini. Vediamo punto per punto perché.

Che cos’è il Nutri-score


Il Nutri-score – la cui storia vedremo nel dettaglio più avanti – non è una recente invenzione (e per di più segreta) di qualche burocrate a Bruxelles, ma è un sistema di etichettatura ideato in Francia. Viene posto sul lato frontale (front-of-pack) di una confezione alimentare, che riassume il contenuto nutrizionale di un prodotto attraverso cinque colori, dal verde al rosso, a cui corrispondono cinque lettere dell’alfabeto, dalla A alla E.

L’uso delle lettere è stato pensato per garantire una migliore visibilità dell’etichetta, soprattutto per chi ha problemi a distinguere i colori.

La formula con cui si arriva alle lettere colorate a partire dalle componenti nutrizionali di un alimento è abbastanza complessa (qui i ricercatori che l’hanno ideata, di cui ci occuperemo meglio più avanti, spiegano i dettagli del calcolo).

Semplificando: nel calcolare il “punteggio” di un cibo preconfezionato, il Nutri-score assegna diversi punti a singoli elementi per poi ottenere un punteggio generale. A partire da 100 grammi di prodotto, la formula dà una serie di punti (da 0 a 10) per il contenuto energetico, di zuccheri, di grassi saturi e di sodio, e toglie dei punti (da 0 a 5) a seconda della quantità di frutta, verdura, fibre e proteine presenti nell’alimento. Il risultato ottenuto si dispone dunque lungo una scala, e può andare da -15 (risultato più positivo) a +40 (risultato meno positivo). A seconda di diverse soglie, viene applicata poi un colore e una lettera.

A questo punto sono necessarie due osservazioni. La prima è che il Nutri-score non va confuso con altri sistemi di etichettatura degli alimenti, come per esempio le cosiddette “etichette semaforo” utilizzate nel Regno Unito o altre sistemi presenti per lo più in Paesi nordici, come Finlandia e Norvegia.

La seconda osservazione è che l’obiettivo del Nutri-score non è solo quello di informare meglio i consumatori, ma di incoraggiare anche i produttori a riformulare la composizione dei loro prodotti, ad esempio diminuendo zuccheri, grassi e sale, qualora fossero presenti in eccesso.

Ma è vero che prodotti come il gorgonzola e il prosciutto crudo di Parma ricevono un “punteggio” basso? Prima di rispondere, vediamo chi ha creato il Nutri-score e perché.

Come e dove è nato il Nutri-score

Per capire le origini del Nutri-score, bisogna fare un passo indietro nel tempo, di circa una ventina d’anni.

Nel 2001, la Francia ha lanciato il Programme national Nutrition santé, un programma nazionale composto da un insieme di leggi e incentivi pensato per migliorare la nutrizione e la salute della popolazione. A luglio 2013 – oltre dodici anni dopo – il Ministero della salute francese ha cercato di dare un nuovo impulso al piano nazionale, lavorando all’introduzione di nuovi strumenti, tra cui un sistema di etichettatura nutrizionale frontale.

Il team di ricerca che a partire dal 2014 ha lavorato all’ideazione di quello che sarebbe poi diventato il Nutri-score è stato il Centro di ricerca in epidemiologia nutrizionale alla Facoltà di medicina dell’Università di Parigi 13, guidato dal professore Serge Hercberg.

Una presentazione del Ministero della Salute francese ricostruisce tutte le tappe che hanno portato all’approvazione, il 31 ottobre 2017, di un decreto congiunto dei Ministeri dell’Agricoltura, della Salute e dell’Economia (qui il testo ufficiale in francese) che ha introdotto il Nutri-score in Francia, su base volontaria.

Lo Stato cioè non obbliga i produttori ad applicare il Nutri-score sugli alimenti, ma supportandolo dal punto di vista legislativo lo identifica come il sistema migliore per aiutare i consumatori a fare scelte più consapevoli dal punto di vista alimentare.

L’applicazione “volontaria” è motivata dalle regole comunitarie, che ad oggi non consentono agli Stati membri di rendere obbligatorio un sistema – come il Nutri-Score – sulle confezioni, ma al massimo di favorirne l’adozione volontaria (rispettando le regole contenute all’articolo 36 del regolamento Ue n. 1169 del 2011).

Il 23 febbraio 2018, la rivista scientifica The Lancet – una delle più prestigiose nell’ambito della ricerca medica – ha pubblicato una lettera in cui gli scienziati ideatori del Nutri-score hanno spiegato brevemente che cos’è e com’è nato questo sistema di etichettatura, citando la letteratura scientifica a suo sostegno (consultabile anche sul sito del Ministero della Salute francese).

«Il punteggio Nutri-Score ha una base scientifica molto solida (oltre 40 studi pubblicati su riviste internazionali sottoposti a peer review, incentrati in particolare sulla prevenzione delle malattie croniche)», spiega un articolo pubblicato su Scienza in rete il 13 dicembre scorso e firmato da cinque professori universitari, tra cui Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità italiano. «Il suo formato a 5 colori (dal verde al rosso) abbinato a 5 lettere (dalla A alla E) lo rende uno strumento semplice, intuitivo e comprensibile».

L’olio di oliva fa male, la Coca-cola fa bene?

Vediamo adesso se è vero, come dice Salvini, che in base al Nutri-score l’olio, il prosciutto crudo e il gorgonzola «fanno male», mentre la Coca-cola e le patatine surgelate no. Il database Open food facts permette di consultare migliaia di prodotti alimentari, con il relativo “punteggio” Nutri-score.

Una generica confezione di prosciutto crudo di Parma ha la lettera D arancione (il penultimo gradino più in basso nella scala), così come un pezzo di parmigiano reggiano e una fetta di gorgonzola. Una bottiglia di olio extra-vergine di oliva si prende invece una C gialla. La Coca-cola zero – senza zuccheri – ha sulla confezione una B verde, così come un pacco di patate surgelate da friggere.

Il leader della Lega sembra dunque avere ragione, ma in realtà è la base su cui poggia il suo confronto che non sta in piedi. E a spiegarlo sono stati gli stessi ideatori del Nutri-score, in un articolo pubblicato sul loro blog il 16 dicembre scorso.

«Il punteggio Nutri-score non divide gli alimenti tra “sani” e “malsani”, in valore assoluto come farebbe un logo binario, ma aiuta il consumatore a confrontare la qualità nutrizionale di un alimento relativamente a prodotti simili», scrivono Hercberg e colleghi. «Per definizione, il Nutri-score non inventa nulla: traduce solo in forma sintetica gli elementi della composizione nutrizionale che compaiono già sull’etichetta presente sul retro di una confezione».

In sostanza, non ha senso – come fa invece Salvini – confrontare la Coca-cola zero con l’olio: il confronto va semmai fatto tra alimenti sostituibili tra loro. Per esempio, la Coca-cola normale (con zuccheri aggiunti) ha il punteggio più basso: una E rossa.

«Al momento dell’acquisto o del consumo, un consumatore non si pone la domanda di confrontare l’olio di oliva con la Coca-cola», spiegano Hercberg e colleghi. «È molto improbabile che qualcuno abbia l’intenzione di condire la sua insalata con la Coca-Cola o di rinfrescarsi con l’olio d’oliva. Se un consumatore vuole comprare un olio, grazie al Nutri-score vedrà facilmente sugli scaffali dei supermercati quello di oliva è il migliore rispetto ad altri».

In effetti, se si cerca su Open food facts una bottiglia di olio di semi di mais, si scopre per esempio che è classificata con una D arancione, più bassa della C gialla dell’olio di oliva.

Nutri-score e dieta mediterranea

Salvini commette poi un altro errore e riguarda la sua concezione della dieta mediterranea.

«La dieta mediterranea non si limita al pecorino romano, al gorgonzola, al prosciutto di Parma o al prosciutto di San Daniele», scrivono gli ideatori del Nutri-score sul loro blog. «La Piramide universale della dieta mediterranea mostra chiaramente che questa dieta è caratterizzata dall’abbondante consumo di frutta, verdura, legumi, cereali, da un moderato consumo di pesce, da un limitato consumo di latticini, salumi e prodotti dolci, grassi e salati. L’olio d’oliva, tra i grassi aggiunti, fa parte della dieta mediterranea, che non ne consiglia però un consumo smodato».

Più il consumo di un alimento è consigliato dalla dieta mediterranea, più è probabile che abbia una lettera A verde come classificazione. Viceversa, per gli alimenti di cui è consigliato un consumo moderato, il Nutri-score scende di colore e lettera.

E questo vale anche per i prodotti non italiani. Una confezione di formaggio camembert, per esempio, è classificato con la D arancione, mentre il fois grasha il punteggio più basso, la E rossa (come il prosciutto crudo pata negra spagnolo).

«Informare i consumatori sulla qualità nutrizionale di alimenti tradizionali come formaggi e salumi non ne esclude il consumo, ovviamente, in quantità e frequenze limitate, il che è coerente con i principi del modello di dieta mediterranea e con il significato della loro classifica sulla scala Nutri-Score», spiega l’articolo pubblicato da Scienza in Rete il 13 dicembre scorso.

Che cosa c’entra l’Ue

Ricapitolando: non è vero che il Nutri-score è un progetto dell’Unione europea per imporre un sistema di etichettatura sugli alimenti pre-confezionati, ma è un’iniziativa nata in Francia e diffusasi oggi in altri Paesi Ue, come Belgio, Spagna e Germania.

Anzi, a maggio 2019 è stata lanciata una petizione a livello europeo – con scadenza di raccolta firme entro maggio 2020 – in cui i proponenti chiedono «alla Commissione europea di imporre l’obbligo di un’etichettatura semplificata “Nutri-score” sui prodotti alimentari, al fine di tutelare la salute dei consumatori e di garantire che vengano loro fornite informazioni nutrizionali di qualità».

Dunque, ad oggi non c’è intenzione della Commissione Ue (secondo cui il Nutri-score rispetta le regole europee) di applicare il sistema di etichettatura a livello comunitario.

Lo scorso 5 dicembre, l’europarlamentare della Lega Silvia Sardone ha avanzato un’altra domanda al Parlamento europeo in cui, tra le altre cose, chiedeva alla Commissione Ue «qual è la sua opinione sul sistema Nutri-score» e se «intende portare avanti questo modello di classificazione a livello europeo».

Di recente, soggetti come Coldiretti e Federalimentare hanno fortemente criticato il Nutri-score, accusato di penalizzare il commercio del Made in Italy nei Paesi in cui è utilizzato il sistema di etichettatura colorato.

Il precedente esecutivo, a guida Lega-M5s, aveva invece inserito tra gli obiettivi del Contratto di governo quello di adottare un sistema di etichettatura che proteggesse i prodotti italiani e di limitare la diffusione di etichette simili al Nutri-score.

Il verdetto

Nelle ultime settimane, Salvini ripete spesso in televisione e sui social che l’Unione europea vorrebbe introdurre in Italia un sistema di etichettatura degli alimenti che metterebbe «fuorilegge» la dieta mediterranea. Il Nutri-score, secondo l’ex ministro dell’Interno, dice che l’olio, il parmigiano e il prosciutto crudo «fanno male», mentre la Coca-zero e le patate surgelate «fanno bene».

Questa dichiarazione di Salvini contiene almeno tre errori. Il Nutri-score non è un progetto dell’Unione europea (e nemmeno «segreto», come ha detto Salvini su Rete4), ma è un sistema di etichettatura introdotto nel 2017 in Francia, su base volontaria e dopo diversi anni di consultazioni tra scienziati e legislatori.

Il secondo errore di Salvini è pensare che i Nutri-score divida gli alimenti tra quelli “buoni” e quelli “cattivi” e che serva per confrontare prodotti molto diversi tra loro, come l’olio e la Coca-cola Zero.

Inoltre, Salvini sbaglia quando riduce il concetto di “dieta mediterranea” a pochi prodotti tipici italiani (come il gorgonzola e il prosciutto crudo), dimenticandosi che alla base dell’alimentazione mediterranea ci sono soprattutto verdura, frutta e cereali, tutti classificati con i punteggi migliori dal Nutri-score.

Non ci sono poi particolari accanimenti contro l’Italia. La classificazione più bassa di questo sistema di etichettatura è assegnata anche a prodotti non italiani, come il formaggio francese o il prosciutto crudo spagnolo. In conclusione, Salvini si merita una “Panzana pazzesca”.