Il 16 aprile il senatore del M5s Elio Lannutti, espulso dal suo gruppo parlamentare per non aver votato la fiducia al governo Draghi, ha commentato su Facebook la notizia del giorno prima secondo cui la Corte Costituzionale ha stabilito che il cosiddetto “ergastolo ostativo” – vedremo tra poco che cos’è di preciso – è incompatibile con la Costituzione.

Lannutti in particolare ha scritto che anche i «peggiori delinquenti» festeggiano perché «entro un anno sarà abolito pure il carcere a vita».

Come vedremo, la decisione della Corte Costituzionale non stabilisce l’abolizione dell’ergastolo e l’affermazione di Lannutti è del tutto sbagliata.

La questione è molto più complessa e la censura dei giudici ha una portata più limitata. I giudici costituzionali, in sintesi, hanno stabilito – peraltro seguendo quanto già deciso anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – che non si può legare automaticamente l’ergastolo ostativo alla mancata collaborazione da parte del condannato per reati gravissimi.

Andiamo a vedere meglio i dettagli.

Che cos’è l’ergastolo ostativo

Con l’espressione “ergastolo ostativo” si intende il particolare tipo di regime carcerario previsto dall’art. 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, che esclude gli autori di alcuni reati particolarmente gravi (elencati al comma 1 dell’art. 4bis) dall’applicabilità dei benefici penitenziari, nel caso questi non collaborino.

Se, ad esempio, un terrorista o un boss mafioso condannato all’ergastolo non ha collaborato con la giustizia, è impossibile che gli venga concesso il beneficio dei permessi premio o della liberazione condizionale (cioè la sospensione dell’esecuzione della pena che rimane da scontare, a certe condizioni).

Che cosa ha stabilito di preciso la Corte Costituzionale

Ad oggi, 16 aprile, ancora manca il testo completo dell’ordinanza (non una sentenza, come spiegheremo tra poco) della Corte Costituzionale ed è stato pubblicato solo il comunicato stampa relativo. Qui si legge che per prima cosa la Corte ha rilevato che la normativa attuale «preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro».

Cioè, se anche è assolutamente certo il pentimento del condannato, il fatto che non abbia collaborato in passato con la giustizia è un elemento che di per sé impedisce la concessione di qualsiasi beneficio, come la liberazione condizionale (che per gli ergastolani è possibile solo dopo 26 anni di pena).

La Corte, prosegue il comunicato, ha quindi stabilito che «tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

L’articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce il principio di uguaglianza delle persone, l’articolo 27 – e in particolare il comma 3 – che la pena non debba essere disumana e debba tendere alla rieducazione del condannato. Anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa prevede (art. 3) che nessuno possa essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti.

Stabilito questo, la Corte ha deciso però di fermarsi e di non arrivare a una sentenza che disapplichi del tutto, in quanto incostituzionale, la disciplina dell’ergastolo ostativo. Ha preferito rilevare la situazione di incostituzionalità con un’ordinanza e ha stabilito che riprenderà in mano la questione tra un anno, a maggio 2022, dando tempo al legislatore di intervenire per modificare la legge e così rimediare al problema.

Se niente verrà fatto sul tema in Parlamento, a quel punto si può ipotizzare che la Corte Costituzionale disapplichi – almeno parzialmente – l’articolo 4 bis che prevede l’automatismo tra mancata collaborazione ed ergastolo ostativo, in quanto incostituzionale. Ci sarebbe allora il rischio di un vuoto normativo. Secondo i giudici costituzionali, infatti, disapplicare adesso la norma incostituzionale «rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata». Il legislatore dovrà quindi mettere in campo degli «interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi».

Insomma, visto che si parla comunque di mafia e ci sono delle esigenze specifiche da tenere in considerazione, la semplice disapplicazione della norma incostituzionale rischia di creare dei problemi.

Il precedente della Corte europea dei diritti dell’uomo

Questa decisione della Corte Costituzionale non è un fulmine a ciel sereno. Già nel 2019, a giugno e poi a ottobre, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) – istituzione europea ma non dell’Ue – aveva stabilito in due sentenze (di primo e secondo grado, riguardo il medesimo caso, quello del boss della ’ndrangheta Marcello Viola) che l’ergastolo ostativo, per come è disciplinato attualmente, fosse contrario all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ne avevamo parlato in questa nostra analisi sul tema.

Anche allora i giudici avevano rilevato che l’ergastolo ostativo non sia di per sè contrario ai diritti umani, ma che lo sia nella forma in cui è attualmente previsto dalla legge italiana.

Secondo i giudici, in particolare, è da condannare l’automatismo tra la mancata collaborazione attiva del condannato (il rifiuto di diventare un “pentito”) e il divieto di accedere ai benefici previsti dalla legge.

La mancata collaborazione dell’ex mafioso, sempre secondo i giudici della Cedu, potrebbe infatti dipendere in concreto da situazioni di grave pericolo, che impediscono al condannato di prendere una decisione “libera”. Un condannato per mafia potrebbe, ad esempio, non volersi pentire per il timore che i suoi familiari vengano assassinati per vendetta.

Dunque non è necessariamente vero che al rifiuto di pentirsi corrisponda per forza l’intenzione di non recidere i legami con la mafia e di continuare ad aderire ai valori dell’organizzazione criminale. Un ex mafioso potrebbe infatti non voler collaborare per non mettere in pericolo la vita dei propri cari, ma allo stesso tempo aver tagliato qualsiasi legame – concreto e ideologico – con la criminalità organizzata e non rappresentare più alcun pericolo per la società.

È quindi sbagliato, secondo i giudici della Cedu, escludere che il condannato possa dimostrare di aver reciso i legami con la mafia e di essere pronto per un percorso rieducativo e di reinserimento (parziale) nella società per il solo fatto che ha rifiutato di collaborare. Secondo la Cedu è questo automatismo, e non l’ergastolo ostativo in sé, a costituire una violazione dei diritti umani.

La decisione della Cedu non aveva portato comunque alla liberazione di Viola ma al pagamento di una sanzione da parte dell’Italia, che comunque nei mesi successivi non ha accolto i rilievi della Corte europea e non ha modificato la disciplina dell’ergastolo ostativo.

Il verdetto

Il 16 aprile il senatore del M5s Elio Lannutti (espulso dal suo gruppo parlamentare) ha commentato una recente decisione della Corte Costituzionale sostenendo che tra un anno «sarà abolito pure il carcere a vita». È del tutto falso.

La decisione della Corte Costituzionale del 15 aprile stabilisce che l’attuale regime dell’ergastolo ostativo – non, lo ribadiamo, l’ergastolo ostativo in sé né l’ergastolo in generale – sia contrario alla Costituzione, oltre che alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

In particolare viene censurato l’automatismo tra mancata collaborazione del condannato e divieto di accedere ai benefici previsti dalla legge, come permessi premio e liberazione condizionale.

Al legislatore viene ora dato un anno di tempo per rimediare. Se non lo farà, è probabile che i giudici dichiarino l’incostituzionalità della norma che prevede l’ergastolo ostativo – in particolare l’automatismo tra questo e la mancata collaborazione del condannato – e la disapplichino, e ci sarebbe il rischio che si crei un vuoto normativo.

In nessun caso si può dire che l’ergastolo verrà abolito tra un anno, come invece sostiene Lannutti, che ha quindi detto una “Panzana pazzesca”.