Il 16 marzo il deputato Luigi Marattin (Italia viva) ha criticato su Facebook la proposta della Lega di stralciare tutte le cartelle esattoriali fino a 5 mila euro (arrivate dal 2000 al 2015), sostenendo invece la necessità di cancellare solo i crediti ormai non più riscuotibili.
Secondo Marattin, l’Agenzia delle entrate vanterebbe crediti verso i contribuenti per un valore pari a 987 miliardi di euro, ma solo poco meno del 10 per cento sarebbe di fatto recuperabile (qui ci sarebbe anche una parte delle cartelle che la Lega vuole invece stralciare). Il 91 per cento dei crediti, circa 895,8 miliardi, «praticamente non esiste – ha scritto Marattin, che è anche presidente della Commissione Finanze della Camera – perché fa riferimento a contribuenti deceduti o falliti o su cui sono già state effettuate tutte le azioni di recupero possibili».
Una percentuale simile è stata comunicata il 18 marzo anche dalle due sottosegretarie all’Economia Laura Castelli (M5s) e Maria Cecilia Guerra (Leu).
Stiamo parlando di cifre corrette? La risposta, in breve, è sostanzialmente sì. Vediamo i dettagli.
Che cosa dicono i dati dell’Agenzia delle entrate
Le statistiche più aggiornate che abbiamo a disposizione sui crediti dell’Agenzia delle entrate sono state comunicate il 6 ottobre 2020 dal suo direttore Ernesto Maria Ruffini, in un’audizione al Senato.
Al 30 giugno 2020 – quindi circa nove mesi fa – gli enti creditori dovevano riscuotere 986,7 miliardi di euro (detto anche, nel gergo tecnico, “magazzino” o “magazzino ruoli”), ma non tutti erano recuperabili dai vari agenti creditori, ossia Agenzia delle entrate, Inps, Inail e altri enti erariali. Stiamo parlando di circa 17,9 milioni di contribuenti, di cui 3 milioni sono società, fondazioni o associazioni e 14,9 milioni persone fisiche (2,5 milioni di questi sono artigiani o liberi professionisti).
Circa il 41 per cento dei quasi 987 miliardi da riscuotere (405,3 miliardi) faceva riferimento a crediti «di difficile recuperabilità per le condizioni soggettive del contribuente»: 152,7 miliardi di euro erano infatti riconducibili a soggetti falliti; 129,2 miliardi a persone decedute o a imprese che avevano cessato l’attività e 3,4 miliardi a nullatenenti.
Atri 440,3 miliardi (circa il 45 per cento) riguardavano invece contribuenti verso i quali si è cercato di recuperare i crediti, senza però ottenere un «recupero integrale». Per circa 50,2 miliardi (il 5 per cento del totale) la riscossione è stata invece sospesa, per esempio attraverso sentenze giudiziarie, o fatta attraverso i condoni degli ultimi anni.
Se si sommano le cifre viste finora, si ottengono 895,8 miliardi di euro, pari a quasi il 91 per cento dei crediti totali accumulati dagli agenti riscossori (poco più del 9 per cento sul totale). Entrambe le cifre sono state correttamente citate da Marattin.
Va però sottolineato che, in base a quanto dichiarato da Ruffini a ottobre 2020, per quanto riguarda la fetta degli oltre 440,3 miliardi visti in precedenza si stanno provando «ulteriori possibili attività di riscossione». Dunque non sono del tutto perduti, sebbene sia molto difficile prevederne un recupero, per due motivi. Da un lato sono già stati oggetto di tentativi di riscossione, dall’altro solo un terzo di loro faceva riferimento a crediti relativi al periodo 2016-2020. Più si va indietro negli anni, più risulta improbabile un recupero totale.
Tra i quasi 987 miliardi di crediti registrati, a giugno 2020 rimanevano da riscuotere quasi 91 miliardi di euro, divisi in due voci: 16,9 miliardi di euro erano oggetto di rateizzazione in corso; 74 miliardi di euro erano il cosiddetto “magazzino netto”, quello con maggiori speranze di riscossione. Ma anche qui dentro c’è una certa quota di crediti – non si conosce la cifra precisa – per i quali le azioni di riscossione erano ridotte o inibite, per esempio per le norme a tutela dei contribuenti sulla limitazione della pignorabilità di immobili o stipendi.
Perché ci troviamo in questa situazione
Prima di concludere vediamo brevemente quali sono le cause che hanno portato allo scenario attuale. Secondo Ruffini, sono due i fattori che negli anni hanno causato l’accumulo «anomalo» di crediti «sostanzialmente privi di concrete possibilità di essere effettivamente riscossi».
Una prima causa è da ricercare nel quadro normativo sulle attività di recupero dei crediti, che è considerato dal direttore dell’Agenzia delle entrate «eccessivamente macchinoso», impedendo un’efficace ed efficiente azione di riscossione.
Un secondo fattore è la «mancanza di una prassi di cancellazione dei debiti arretrati e ormai inesigibili», fenomeno a cui hanno fatto riferimento, in maniera più o meno esplicita, anche i politici Marattin, Castelli e Guerra nelle loro dichiarazioni.
Tant’è che la richiesta di rivedere il magazzino fiscale dell’Agenzia delle entrate, con la «totale o parziale» cancellazione dei crediti di fatto non più riscuotibili, è contenuta nel parere della Commissione Finanze della Camera sul Recovery plan italiano, pubblicato il 17 marzo.
Il verdetto
Secondo Luigi Marattin, il 91 per cento dei crediti fiscali ancora da riscuotere (una percentuale pari a quasi 900 miliardi) «praticamente non esiste», perché fa riferimento a crediti ormai molto difficili da riscuotere.
Abbiamo verificato i numeri e il deputato di Italia viva cita una statistica corretta.
Secondo i dati più aggiornati, a giugno 2020 i crediti da riscuotere ammontavano a 986,7 miliardi di euro, ma solo poco più del 9 per cento del totale aveva speranze concrete di essere riscosso (anche qui con dei limiti). I restanti crediti facevano riferimento, per esempio, a soggetti deceduti, nullatenenti, imprese che avevano cessato l’attività o contribuenti verso i quali le azioni di riscossione avevano portato a un recupero solo parziale.
In conclusione, Marattin si merita un “Vero”.
«Le agenzie di rating per la prima volta, due agenzie di rating, per la prima volta hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia. Dal 1989 questa cosa è accaduta tre volte in Italia»
30 ottobre 2024
Fonte:
Porta a Porta – Rai 1