Brunetta accusa Renzi di avere aspettative assurde per quanto riguarda la ripresa del mercato del lavoro. Ma è vero che per raggiungere il 10% di disoccupazione si dovrebbero creare 500.000 posti di lavoro, o Brunetta ha nuovamente fatto confusione con le percentuali?
Premettiamo che la disoccupazione è il rapporto tra persone in cerca di lavoro e la forza lavoro complessiva, quindi:
tasso di disoccupazione = disoccupati / (occupati + disoccupati)
Aggiungiamo che al di fuori del mercato del lavoro esiste un’altra categoria – quella degli inattivi – composta da persone che potrebbero lavorare ma non lo fanno (sono anche stati oggetto recentemente di una dichiarazione di Delrio non completamente corretta), alcuni dei quali – gli scoraggiati – non più alla ricerca di un impiego pur volendolo. E’ evidente, quindi, che il numero di posti di lavoro necessari per ridurre la disoccupazione di 3 punti percentuali dipende da coloro i quali saranno occupati: chi è attualmente alla ricerca del lavoro o chi è scoraggiato e non lo cerca più? Nel primo caso si riduce esclusivamente il numeratore, nel secondo si tocca anche il denominatore.
Fatta la premessa passiamo ai calcoli. A febbraio 2014 gli occupati erano 22 milioni, i disoccupati 3,3 milioni e gli inattivi 14,4 milioni. Ne consegue che la forza lavoro era pari a 25,3 milioni di unità. Dai nostri calcoli vediamo che se la riduzione della disoccupazione avvenisse interamente per riduzione dei disoccupati, i nuovi occupati sarebbero più di quelli citati da Brunetta: 755.000. Se invece registrassimo la variazione attraverso una variazione solamente del numero di inattivi invogliati a tornare nel mercato del lavoro si dovrebbero creare un numero sproporzionato di posti di lavoro (addirittura 7,5 milioni) poiché si andrebbe non a toccare il numeratore ma il denominatore. C’è un terzo scenario ancora, in cui il tasso di disoccupazione scende non perché aumentano i posti di lavoro bensì perché i disoccupati attuali smettono di cercare e escono dal mercato del lavoro diventando inattivi. In questa maniera questi ultimi “scomparirebbero” dal conteggio del tasso della disoccupazione che migliorerebbe solo su carta, visto che il numero di occupati rimarrebbe invariato.
E’ evidente che è il primo scenario è il più realistico di quello che hanno in mente sia Brunetta che Renzi. Detto ciò, visto che si tratta di fissare obiettivi su valori relativi (tasso di disoccupazione) invece che su numeri assoluti (numero di disoccupati), si deve considerare che è probabile che non tutti i posti di lavoro creati andranno a disoccupati una quota parte andrà anche a degli inattivi – così come ci saranno disoccupati che, scoraggiati, lasceranno del tutto il mercato del lavoro. La stima dei posti di lavoro richiesti per arrivare al 10% di disoccupazione è quindi per forza di cose variabile. Un buon punto di partenza può essere quei 755.000 del primo scenario a cui si sottrae posti di lavoro se alcuni disoccupati scelgono di diventare inattivi e se ne aggiunge laddove siano gli inattivi a entrare nel mercato del lavoro.
Sembra, inoltre, che Brunetta stia dando una versione fuorviante delle parole del Premier, quando sostiene che Renzi abbia detto che tale cambiamento sia da produrre tutto nei prossimi mesi. Nell’intervista con Enrico Mentana andata in onda qualche giorno prima della dichiarazione del capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renzi ha infatti esplicitato che l’obiettivo era di tornare “sotto al 10”, dal 12,4-12,5 di gennaio, entro la fine del mandato (naturale) dell’attuale governo, ovvero il 2018.
Brunetta ha quindi sostanzialmente ragione sul grande numero di posti di lavoro necessari per riportare a livello 10% la disoccupazione in Italia, ma ha torto ad attribuire a Renzi una frase con orizzonte temporaneo ben più lungo: “C’eri quasi”.