Il ministro Fornero ha sostanzialmente ragione: nonostante i progressi degli ultimi anni, in Italia il divario tra uomini e donne nella partecipazione al mercato del lavoro resta marcato.
Secondo uno studio della Fondazione David Hume, riportato da La Stampa, alla fine del 2011 solo una donna su due tra i 20 e i 64 anni risultava occupata. Peggio di noi fanno soltanto la Grecia e Malta, ma se volgiamo lo sguardo verso nord il confronto è impietoso: in Svezia, ad esempio, ben otto donne su dieci hanno un’occupazione.
Come riportato in un recente studio della Banca d’Italia, l’Italia è decisamente indietro nelle classifiche internazionali che cercano di fotografare la situazione. Nell’indice Global Gender Gap il Bel Paese si colloca al 74esimo posto su 145, con ritardi che riguardano soprattutto l’accesso al mercato del lavoro, il livello delle retribuzioni, la carriera, il raggiungimento di posizioni apicali e l’iniziativa imprenditoriale.
Le cause sottese a questo divario sono di varia natura: livello e tipologia di istruzione, fattori culturali e attitudinali, ma la Banca d’Italia punta l’indice sulla carenza di servizi volti a conciliare vita professionale e familiare, soprattutto con riferimento sia alla cura dei figli che degli anziani non più autosufficienti. Questa situazione ha il duplice effetto di indurre la donna a non fare figli o ad abbandonare il lavoro. Questa seconda decisione, inoltre, non può che avere conseguenze negative sulle prospettive di carriera della donna e da ciò dipende, essenzialmente, la scarsa presenza femminile in posizioni dirigenziali.
Una cosa è sicura: le difficoltà che le donne italiane incontrano nel conciliare le esigenze famigliari e lavorative hanno l’effetto di limitare la fertilità delle donne italiane, tra le più basse in Europa. Una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, inoltre, avrebbe molti effetti positivi, non ultima l’espansione del mercato dei servizi per la cura della persona, servizi che al momento vengono “prodotti” in casa dalle donne stesse, con conseguenze virtuose sul Pil e l’occupazione generale.
Per i dettagli e i numeri vi rimandiamo agli studi di cui sopra: nel frattempo non possiamo che concordare con il ministro Fornero.