Renato Brunetta fa luce su uno dei diversi casi di mancata applicazione delle direttive europee da parte dell’Italia. Nell’analizzare se quanto detto da Brunetta sia vero o meno, cogliamo l’occasione per ricalcare la storia della direttiva da lui menzionata: questo ci permetterà di fare un ripasso su alcune delle basi del diritto europeo.



Nel 2011 l’Unione Europea ha adottato la direttiva 2011/7/Ue, il cui obiettivo è lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Due anni dopo, il 16 marzo 2013, scadeva il termine concesso agli Stati membri per il recepimento della direttiva, che consiste nell’adattare la legislazione nazionale in modo da realizzare gli obiettivi definiti nella direttiva. Laddove una direttiva non venga implementata, la Commissione Europea ha il potere di imporre allo Stato membro di porre fine all’infrazione. Eventualmente, se lo Stato membro non rispetta quanto richiesto dalla Commissione, quest’ultima ha il diritto di ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.



L’Italia ha recepito la direttiva europea a novembre 2012 attraverso il decreto legislativo n.192/2012, prevedendo che le nuove regole europee fossero applicate a partire dal 1 gennaio 2013, come informa un editoriale pubblicato dalla Rappresentanza della Commissione Europea in Italia. Lo stesso editoriale informa però che l’associazione dei costruttori di Assobiomedica e Confartigianato hanno denunciato la mancata applicazione delle regole, ragione per la quale la Commissione ha risposto il 3 febbraio – lo stesso giorno della dichiarazione di Brunetta – avviando la procedura d’infrazione e chiedendo formalmente all’Italia di dimostrare di non avere violato la normativa europea. La Commissione ha quindi inviato una lettera al governo italiano, “che ha cinque settimane di tempo per rispondere per scongiurare la messa in mora e l’avvio del procedimento davanti alla Corte di Giustizia Ue”.



Più specificamente, come informa il vice presidente della Commissione Europea, la procedura è stata avviata per la violazione degli articoli 4 e 7 – gli stessi citati da Brunetta – che regolano le transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni (art. 4) e le clausole contrattuali e prassi inique (art.7). Come conferma l’articolo 4, il limite fissato è trenta giorni (con le dovute precisazioni a seconda dei casi) e sessanta giorni per “enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine” (art. 4, comma 4b).



Se da una parte Brunetta è preciso, dall’altra pecca d’impazienza. Sebbene la Commissione abbia iniziato la procedura d’infrazione inviando una lettera al governo italiano, bisognerà aspettare la fine delle cinque settimane concesse prima di passare al procedimento davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Se guardiamo il calendario aggiornato dei casi d’infrazione contro il Belpaese, infatti, il caso della direttiva 2011/7 non è ancora stato inserito; senza risposta dell’Italia, è precipitoso concludere che vi sia stata una violazione, fatto che dovrà essere accertato dalla Corte. Dire quindi che l’Italia “non rispetta” gli articoli 4 e 7 è affrettato, ed è per questo che assegniamo un “C’eri quasi” al capogruppo di Forza Italia.