Come funziona il processo per ottenere lo status di rifugiato politico?
Data l’attualità del tema probabilmente è una domanda che si fanno in molti e a cui i nostri politici cercano di rispondere in vario modo. Beppe Grillo cita la famosa Convenzione di Dublino, sostenendo, come aveva già fatto Giorgia Meloni, che un rifugiato debba rimanere nel primo Paese di arrivo.
In realtà la dichiarazione del leader pentastellato è leggermente imprecisa. Il Regolamento di Dublino (dal 2014 è in atto la sua terza versione) si basa sul principio che un solo Stato membro è competente per l’esame di una domanda di asilo: ciò vuole dire che quando un richiedente asilo arriva in un territorio, l’onere della migrazione è sul Paese di primo ingresso. In questo modo si evita il cosiddetto asylum shopping, la pratica di fare richiesta di asilo politico in diversi Paesi allo stesso tempo.
L’articolo 3 del Regolamento del 2003 dice “Gli Stati membri esaminano la domanda di asilo di un cittadino di un Paese terzo presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III”.
Quindi è vero che è solo uno lo Stato membro che esamina la domanda, ma non è necessariamente vero che questo sia quello di primo arrivo. Esistono infatti delle eccezioni proprio nel capo III che riguardano in particolare minori, familiari e titolari di permesso di soggiorno, ad esempio:
- Se il richiedente asilo è un minore non accompagnato, è competente per l’esame della domanda di asilo lo Stato membro nel quale si trova legalmente un suo familiare, purché ciò sia nel miglior interesse del minore.
- Se il richiedente asilo è titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità, lo Stato membro competente per l’esame della domanda d’asilo è quello che ha rilasciato tale titolo.
Beppe Grillo non racconta tutta la storia, e si prende un “C’eri quasi” al fact-checking di Pagella Politica.