Mario Monti tocca un argomento caldo e controverso della politica italiana – quello della spesa militare – e lo fa passando in rassegna i vari governi (di destra e di sinistra) che hanno deciso di allocare risorse per l’acquisizione del caccia monoposto e monoreattore di fabbricazione anglo-americana F-35 Lighting II.


Come abbiamo già potuto verificare in precedenza, a proposito di una dichiarazione di Antonio Ingroia, e come si può leggere nel dossier della Difesa del 14 marzo 2012, l’Italia ha aderito al programma Joint Strike Fighter sin dalla fase concettuale-dimostrativa (denominata CDP) svolta tra il 1996 e il 2001. Questo siginifica che già nel 1996, durante il primo governo Prodi, in Italia si iniziava a parlare di F-35. Sarà a due giorni da Natale – il 23 dicembre 1998 – che il governo guidato da Massimo D’Alema firmerà il Memorandum of Agreement per il finanziamento della fase CDP con un investimento di 10 milioni di dollari.


Nel 2002, (governo Berlusconi II), dopo l’approvazione delle Commissioni Difesa di Senato (14 maggio 2002) e Camera (4 giugno 2002), è stata confermata la partecipazione anche alla seconda fase (SDD – System Development and Demonstration) con un impegno di spesa di circa 1.190 milioni di euro. Successivamente, il 7 febbraio 2007 (governo Prodi II) l’Italia ha sottoscritto il Memorandum of Understanding (MoU) relativamente alla fase PFSD (Production, Sustainment and Follow-on Development). Tale accordo prevedeva un finanziamento italiano di 904 milioni di dollari a partire dal 2007, fino a termine fase (pari al 4,1% dei 21,88 miliardi di dollari di costo complessivo della fase PSFD del programma).


L’adesione alla fase PSFD è stata approvata dalle Commissioni Difesa di Camera e Senato. Entrambe, l’8 aprile 2009 (governo Berlusconi IV), hanno espresso parere favorevole allo schema di programma trasmesso dal governo, il quale prevedeva l’acquisto di 131 F-35 al costo di 12,9 miliardi (spalmati fino al 2026) e la realizzazione, presso l’aeroporto militare di Cameri (Novara), di una linea di assemblaggio finale e di verifica (FACO – Final Assembly and Check Out) per i velivoli destinati ai Paesi europei.


Fin qui l’excursus montiano sulle tappe che hanno visto l’Italia partecipare alle fasi di adozione del programma oggetto della dichiarazione corrisponde a quanto è avvenuto. Vediamo se Monti dice il vero riguardo alla decisione di ridurre il numero dei caccia monoposto.


Un anno fa, il 15 febbraio 2012, il ministro della Difesa, ammiraglio Di Paola, nell’illustrazione del più generale disegno di revisione dello strumento militare davanti alle Commissioni Difesa della Camera e del Senato, ha annunciato un ridimensionamento del programma: “l’esame fatto a livello tecnico e operativo porta a ritenere come perseguibile, da un punto di vista operativo e di sostenibilità, un obiettivo programmatico dell’ordine di 90 velivoli (con una riduzione di circa 40 velivoli, pari a un terzo del programma); una riduzione importante che, tuttavia, salvaguarda anche la realtà industriale e che, quindi, rappresenta una riduzione significativa coerente con l’esigenza di oculata revisione della spesa”.  Il 9 marzo 2012, con la mozione n. 1-00908, la Camera impegnava il governo a valutare la riduzione del numero di F-35 acquistati. Il governo, il 28 marzo, confermava la mozione della Camera a ridurre effettivamente il numero da 131 a 90.


Non resta che dare un “Vero” a Mario Monti e occhio al getto del rotore!