Matteo Renzi ha sostanzialmente ragione: l’Europa non parla con una voce sola e non potrebbe essere altrimenti visto che, al di là della nomina di un Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, coadiuvato dal cosiddetto Servizio Europeo per l’Azione Esterna, gli Stati Membri dell’Unione Europea non perseguono affatto una politica estera comune, se non in maniera residuale e/o inerziale. Gli esempi si sprecano: dalla Guerra in Iraq del 2003 alla recente campagna militare contro la Libia di Gheddafi, passando per il riconoscimento del Kosovo e l’adesione della Turchia all’Unione Europea (per citare i principali punti di “dissenso”).



D’altra parte sarebbe forse utopico pensare il contrario, visto che la politica estera di un paese è sostanzialmente determinata (alcuni direbbero costretta) dalla posizione geopolitica del paese stesso: cambia la posizione sul mappamondo e cambiano le esigenze di un paese (economiche e di sicurezza), con conseguente differenziazione degli imperativi geopolitici e delle politiche necessarie al loro perseguimento. Da ciò discendono, per rimanere sul tema affrontato da Renzi, le indecisioni e le divergenze in occasione della Primavera Araba e di come essa si stia declinando nei paesi che ne sono stati toccati.