In uno dei suoi interventi alla Camera, il deputato del M5S Alessandro Di Battista non perde l’occasione per evidenziare come l’introduzione dei centri di identificazione ed espulsione (i Cie), recentemente oggetto di proteste, si ricolleghi alla legge n. 40/1998, varata dagli allora ministri Livia Turco e Giorgio Napolitano.



Cerchiamo di tracciare un quadro normativo relativo all’oggetto della dichiarazione. Iniziamo col dire che, seguendo l’elenco contenuto sul sito del Ministero dell’Interno, Di Battista si riferisce ad una delle tre tipologie di strutture che accolgono e assistono gli immigrati irregolari, ovvero: centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza richiedenti asilo (Cara) e – quelli di cui parla il deputato a 5 stelle – centri di identificazione ed espulsione (Cie).




  • Nel 1998, al fine di colmare le lacune normative che flussi di immigrazione sempre più consistenti avevano messo in luce, il legislatore interveniva nella disciplina dell’immigrazione – va precisato che, fino a quel momento, gli interventi organici in materia si limitavano alla legge n. 943/1986 e alla legge n. 39/1990 (per un approfondimento dell’evoluzione normativa in materia si rinvia al saggio curato da V.G. Casari, ‘Il diritto dell’immigrazione’, pagg. 93 e seguenti). Veniva dunque emanata la citata legge n. 40/1998 (cui sarebbe seguito, a brevissima distanza, il decreto legislativo n. 286/1998, “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”). In linea generale va detto che la legge disciplinava gli ingressi secondo il sistema delle quote, operando una netta distinzione tra gli immigrati regolari e quelli irregolari, i primi destinatari di politiche di integrazione, i secondi di politiche di rigore. Elemento complementare al raggiungimento di un efficiente controllo della immigrazione era quello inerente i centri temporanei di permanenza (Cpt), di cui si tratta nell’art. 12. L’istituto veniva introdotto con la finalità di trattenere lo straniero clandestino in strutture distinte dalle carceri, durante il periodo necessario al suo riconoscimento e all’acquisizione dei documenti necessari alla riammissione nei Paesi di provenienza.



    Più recentemente, con l’art. 9 del decreto legge 92/2008, convertito nella legge n. 125/2008, i Cpt assumevano la nuova denominazione di centri di identificazione ed espulsione – cui si riferisce, infatti, Di Battista nella dichiarazione in esame. L’evoluzione normativa in materia è costante: da ultimo, l’art. 3 del decreto legge n. 89/2011, convertito nella legge n. 129/2011, prorogava il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri dai 180 giorni (a loro volta previsti dalla legge n. 94/2009) a 18 mesi complessivi.



    Tirando le somme, è giusto il riferimento di Di Battista alla matrice di centrosinistra cui ricollegare la citata legge del 1998: Livia Turco e Giorgio Napolitano erano, rispettivamente, ministro per la Solidarietà Sociale e ministro dell’Interno nel primo governo guidato da Romano Prodi.



    La dichiarazione di Di Battista, pur precisando che i centri introdotti dalla Legge Turco-Napolitano avevano una differente denominazione rispetto a quella citata dal deputato del M5S, risulta corretta: “Vero”!