Il 9 ottobre 2019 il senatore del Partito democratico Tommaso Nannicini ha scritto sul proprio profilo Twitter che, a parità di mansioni, le donne possono guadagnare fino al 20 per cento in meno rispetto agli uomini.

È davvero così?

“La rapina del 23 per cento”

Partiamo dicendo che Nannicini non ha specificato a quale Paese stia facendo riferimento. Come vedremo, i dati ci portano ad escludere che si tratti dell’Italia, dove la disparità salariale (almeno quella annuale) è ben maggiore del 20 per cento.

È probabile quindi che il senatore del Pd faccia riferimento alle donne in generale, e non solo a quelle italiane. In questo caso, l’affermazione di Nannicini trova riscontro in un dato riportato dalle Nazioni Unite.

Infatti, secondo il sito dell’Ente delle Nazioni Unite per l’Uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne (Un women), nel 2017 le donne, a parità di mansione, guadagnavano in media il 23 per cento rispetto agli uomini. Un dato che però, sempre secondo Un women, nasconde una disparità ben più marcata, dato che nei Paesi in via di sviluppo la maggior parte delle donne sono occupate nell’economia informale e che i dati riguardo ai loro salari non vengono registrati.

Per sensibilizzare i cittadini rispetto a questo tema, le Nazioni Unite unite hanno ridenominato questa disparità salariale di genere (in inglese gender pay gap) come “la rapina del 23 per cento”, incoraggiando gli utenti di Twitter a condividere alcune verità sulle differenze salariali. Tra queste viene menzionato il fatto che al ritmo attuale le differenze salariali tra uomo e donna si ridurranno in 70 anni e che le donne sono costrette a lavorare tre mesi in più rispetto agli uomini per ottenere lo stesso compenso.

E l’Italia?

In Italia, come anticipato, il divario salariale tra maschi e femmine – se guardiamo al salario annuale – è anche maggiore.

In base ai dati riportati da Eurostat, relativi al 2016, il divario in Italia è pari al 43,7 per cento (la media europea è del 39,6 per cento).

Questo divario, sempre secondo Eurostat, può dipendere in particolare da tre fattori: paghe orarie più basse per le donne, minor tasso di occupazione e minori ore lavorate.

Il primo elemento è poco rilevante per l’Italia. Come certifica ancora Eurostat il divario salariale su base oraria è solo del 5,3 per cento, il secondo dato migliore della Ue (la media Ue è del 16,2 per cento).

Il secondo e il terzo elemento sono invece molto rilevanti per il nostro Paese.

Le donne italiane sono penultime nell’Unione europea per tasso di occupazione: il dato arriva appena il 48,9 per cento (dati 2017), meglio solo di quello relativo alla Grecia (44,4 per cento). La media della Ue è del 62,5 per cento.

Per quanto riguarda poi le ore lavorate, in Italia nel 2018 il numero medio di ore lavorate settimanalmente per gli uomini è di 40,3 ore (media Ue 39,9 ore), per le donne di 33 ore (media Ue 33,7 ore).

Le altre ragioni di questo divario

L’Unione europea nel rapporto sul gender pay gap (il divario retributivo di genere) pubblicato nel 2018 e che fa riferimento al 2016, ha sottolineato che in Italia nel mercato del lavoro le posizioni di alto livello erano principalmente in mano agli uomini, più pagati rispetto alle donne, andando ad allargare ulteriormente il divario fra i guadagni dei due sessi.

La Ue ha inoltre evidenziato che, in generale, sono molto più spesso le donne a farsi carico di compiti domestici, della cura dei figli o di parenti anziani o malati, impiegando in tali mansioni circa 22 ore la settimana contro le 9 ore degli uomini.

Le donne tendono poi ad essere temporaneamente escluse dal mercato del lavoro più spesso rispetto agli uomini: interruzioni di carriera di questo tipo vanno a influenzare non solo il salario orario, ma anche il versamento dei contributi in vista della pensione.

Parlando di genitori lavoratori, un altro fattore da tenere in considerazione è il contratto di lavoro a part-time, che permette di conciliare maggiormente gli impegni professionali e quelli personali. Secondo dati Eurostat del 2017 la sproporzione fra gli uomini e le donne che lavorano part-time in Italia è considerevole: l’8,3 per cento dei primi contro il 32,5 delle seconde.

Il verdetto

Il ministro Nannicini ha affermato che «a parità di mansioni le donne possono guadagnare fino al 20% in meno degli uomini».

Il dato, se riferito alla situazione a livello globale, è sostanzialmente corretto.

Guardando allo scenario italiano, e in particolare al divario salariale annuo, la situazione è invece peggiore: le donne guadagnano in media quasi il 45 per cento in meno degli uomini.

Questo dipende, più che da una diversa paga oraria (l’Italia è tra i Paesi più virtuosi da questo punto di vista), dalla bassa occupazione delle donne (siamo penultimi nella Ue) e dal minor numero di ore lavorate.

Nel complesso per Nannicini un “C’eri quasi”.