Paola Severino affronta il tema caldo delle misure alternative al carcere, in seguito alla sua presentazione del disegno di legge al riguardo, criticato da alcuni come un’amnistia mascherata. Analizziamo, quindi, la sua dichiarazione affrontandola in due parti.  


L’amnistia, prevista dall’articolo 79 della Costituzione italiana, è regolata dall’articolo 151 del Codice Penale, che, nel suo testo, prevede una limitazione dell’applicazione solamente a soggetti, e non a specifici reati. Nella fattispecie l’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell’articolo 99 del Codice Penale, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza (artt. 102, 103, 105, 108 Codice Penale), salvo che il decreto disponga diversamente. L’amnistia è concessa solamente con una maggioranza di due terzi del Parlamento e del Senato; la natura del provvedimento richiede quindi una risposta convinta da entrambe le Camere.


Detto ciò, è giusto ricordare che l’ultimo decreto legge sulla concessione d’amnistia in Italia, che risale al 1990, include delle limitazioni ai reati per la quale l’amnistia può essere concessa, come stabilito dall’articolo 3. Nonostante un decreto legge possa quindi limitare l’applicazione dell’amnistia a specifici reati, questa può essere applicata, almeno in teoria, a qualsiasi reato.


Veniamo ora al disegno di legge n.5019 presentato dal ministro della Giustizia Paola Severino. Come constatato dal ministro, il giudice può decidere di applicare le misure domiciliari per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni (vedi l’art.5, comma 1, lettera a del disegno di legge), e può, come rilevato nello stesso comma, (A) prevedere particolari modalità di controllo, (B) prevedere la non applicazione delle disposizioni laddove “la reclusione o l’arresto presso il domicilio non siano idonei a evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati”, e (C) prevedere la sostituzione della pena non carceraria nella fase della sua esecuzione “qualora non risulti disponibile un’abitazione o un altro luogo di privata dimora idoneo ad assicurare la custodia del condannato”.  È quindi evidente che al giudice viene data la facoltà di valutare, e che la misura prende in considerazione la pericolosità del soggetto, come affermato dal ministro. Infine, vengono considerate le idonee tutele per le “persone offese”, in quanto nell’art 5 si legge che la pena non carceraria venga meno nel caso “la reclusione o l’arresto presso il domicilio possa ledere le esigenze di tutela delle persone offese dal reato”.


Che dire? Con una presentazione più che corretta, non possiamo che assegnare un “Vero” al ministro Severino!