Nichi Vendola ha ragione su entrambi i punti: il principio della progressività dell’imposizione fiscale è previsto dalla Costituzione, e la percentuale del carico fiscale che grava sulle tre categorie di reddito è uguale a quella indicata.
Andando con ordine, la progressività è un elemento del sistema tributario italiano per il quale l’aliquota di una determinata imposta aumenta in maniera progressiva all’aumentare dell’imponibile. La progressività è sancita dall’art. 53 della Costituzione che indica che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Nel caso specifico, Vendola fa riferimento all’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Sono soggetti all’Irpef tutti coloro che producono reddito, siano essi proprietari di beni immobili, lavoratori dipendenti o autonomi e soci di enti collettivi. In linea con quanto sancito dall’art. 53, l’aliquota dell’Irpef aumenta progressivamente ‘a scaglioni’, vale a dire che rimane costante all’interno di determinati intervalli di reddito imponibile e scatta al variare dell’intervallo.
Nel maggio 2012, l’Associazione per la Legalità e l’Equità Fiscale (Lef) ha pubblicato il rapporto sulla struttura dell’IRPEF 2003-2010. L’indagine mirava a determinare la struttura e l’evoluzione del reddito e dell’Irpef nel periodo dal 2003 al 2010, utilizzando le statistiche sulle dichiarazioni Irpef pubblicate dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia.
L’analisi di Lef offre un quadro di come ciascuna tipologia di reddito (da lavoro dipendente, pensione, lavoro autonomo, imprese, partecipazione o altri redditi) abbia contribuito a formare l’imposta netta totale.
Nel 2010, l’ultimo anno di riferimento, l’imposta derivante dai redditi da lavoro dipendente e da pensione (due delle tre categorie a cui fa riferimento Vendola) è il 79% del totale.
A questi va aggiunto, per completare il calcolo fatto dal governatore della Puglia, l’ammontare dell’imposta derivante dai redditi d’impresa, che per il 2010 è stata del 4%. Questa percentuale comprende evidentemente tutti i tipi di imprese. Occorre, a questo punto, un ulteriore approfondimento su quale sia l’incidenza dell’imposta per le piccole imprese.
Per piccola impresa si intende, secondo la definizione dell’Unione Europea, un’impresa il cui organico non superi le 50 persone e il fatturato non superi i 10 milioni di euro. Secondo l’Istat, il fatturato di tutte le imprese con meno di 50 dipendenti nel 2010 è stato di circa 1450 milioni di euro, pari circa al 50% del totale del fatturato. Per questo motivo – anche se in via assolutamente approssimativa dato chel’Irpef grava sul reddito imponibile del proprietario dell’impresa e che l’aliquota e’ piu’ alta per redditi maggiori – si puo’ ipotizzare che dei 593 milioni di euro di imposta netta derivante dai redditi d’impresa, circa 290 derivino da redditi di piccola impresa. Questo ammontare equivarrebbe circa allo 0,2 per cento del totale dell’imposta netta di tutte le classi. Aggiungendo questo risultato al dato aggregato (lavoro dipendente+pensione) otteniamo il valore di 79,2%, praticamente quanto affermato da Vendola.
Il presidente della Regione Puglia sfoggia una buona preparazione in diritto tributario: “Vero”!