Parole come “impensabile” o “inaccettabile” descrivono solitamente considerazioni che mal si prestano al fact checking. Ma quando il vice premier Alfano, al termine di una riunione dei vertici del Pdl, scrive che la decadenza di Berlusconi in Senato sarebbe costituzionalmente inaccettabile, sembra voler sostenere che ci sia una base giuridica dietro questa considerazione. Andiamo quindi a vedere cosa dice la Costituzione in proposito.



A ben vedere sembrerebbe che la decadenza di Berlusconi, come di qualunque altro parlamentare, sia costituzionalmente accettabilissima. Secondo l’articolo 65 della Costituzione, “la legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore”, mentre “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità” (articolo 66 Cost.).



Il parlamento ha adottato due leggi in particolare che si occupano della materia e sono menzionate spesso nel caso di Berlusconi. La prima è il decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, su cui ci eravamo soffermati in un’analisi precedente. Si tratta del testo che contiene le norme per l’elezione alla Camera e disciplina, tra le altre cose, i casi di ineleggibilità. Tra questi, sarebbero ineleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato […] per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica” (art. 10). Nel caso di Berlusconi, si tratterebbe delle concessioni per le frequenze televisive di Mediaset. Nei mesi successivi alle ultime elezioni di febbraio, si era parlato di sollevare nuovamente la questione, nonostante la Giunta delle elezioni della Camera abbia già confermato, nel 1994 e nel 1996, l’eleggibilità di Berlusconi.



La situazione è però precipitata con la condanna in via definitiva per frode fiscale sul caso Mediaset. E qui veniamo alla seconda legge, ben più recente. Si tratta del decreto legislativo n. 235 del 2012 del ministro Severino, che contiene le “disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna”. L’articolo 1 spiega che non può ricoprire la carica di deputato o senatore chi è stato condannato in via definitiva a più di due anni (e Berlusconi è stato condannato a 4 anni). L’articolo 3 precisa che se la condanna viene accertata nel corso del mandato parlamentare, la delibera sulla decadenza spetta alla Camera di appartenenza, ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione (citato sopra).



La Giunta delle elezioni del Senato è chiamata a deliberare il prossimo 9 settembre, ma l’esito non è affatto scontato. Perché, come spesso accade, una cosa è la legge e un’altra è la sua interpretazione. E sul punto non mancano una serie di nodi controversi, come rileva il Sole24Ore: la legge Severino si applica anche a fatti commessi prima della sua entrata in vigore (è, cioè, retroattiva)? La decadenza è automatica e la Giunta del Senato deve solo prenderne atto oppure deve “giudicare” sulla questione? Berlusconi è stato condannato a 4 anni, poi ridotti a 1 per effetto dell’indulto: se la legge Severino prevede l’incandidabilità per condanne superiori a 2 anni, si applica a Berlusconi o no?



Insomma, alcuni punti della legge rimangono controversi e possiamo essere certi che fino al 9 settembre i giuristi continueranno ad accapigliarvisi sopra. Ma da qui a dire che la decadenza dalla carica di senatore sarebbe “costituzionalmente inaccettabile” ce ne passa. Come abbiamo visto, la Costituzione si limita a rimandare alla legge l’individuazione delle cause di incompatibilità o ineleggibilità, affidando alle Camere la decisione nei casi in cui una di queste cause sopraggiunga durante il mandato parlamentare: “Pinocchio andante” per Alfano.