Intervenendo alla trasmissione Porta a Porta, ospite del sempiterno Bruno Vespa, Matteo Renzi fa un po’ di confusione nel parlare della crisi occupazionale che sta attraversando il Paese. Vediamo di fare chiarezza, affidandoci al recentissimo report “Disoccupati, inattivi, sottoccupati”, pubblicato dall’Ista l’11 aprile 2013 e aggiornato al 2012.
Renzi commette un errore quando associa il numero di 5 milioni e 700 mila persone al fenomeno della disoccupazione, come viene normalmente quantificato, poichè questo numero si riferisce, più in generale, alle “persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo”, ed è dato dalla somma tra “forza lavoro potenziale” e “disoccupati in senso stretto”. Il numero citato, peraltro, è lievemente sbagliato, perchè la dimensione esatta di questo indicatore, riferita al 2012, è di 5 milioni e 831 mila persone.
I disoccupati nel 2012 erano, invece, molto meno: 2.744.000. Ricordiamo come, per l’Istat e quindi in base agli indicatori ufficiali, i “disoccupati” comprendano le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che:
A) hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive;
B) inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento e sarebbero disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.
La “forza lavoro potenziale”, a sua volta, ammontava nel 2012 a 3 milioni e 86 mila unità ed il suo valore è dato dalla somma tra inattivi disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro (ossia che non lo hanno cercato nelle ultime 4 settimane), e inattivi in cerca di lavoro ma non subito disponibili (non disponibili a iniziare un nuovo lavoro entro le successive due settimane). Gli inattivi comprendono le persone che non fanno parte della forza lavoro, cioè quelle non classificate come occupate o disoccupate.
Precisiamo che, di fatto, la distinzione tra disoccupati e forza lavoro potenziale è dettata dai limiti temporali di 4 e 2 settimane stabiliti dall’Istat per definire le persone “in cerca di lavoro” e “subito disponibili” che determinano la definizione di disoccupato. Nel report stesso, infatti, si legge: “La distinzione tra disoccupati e inattivi disponibili a lavorare si attenua analizzando la condizione professionale dichiarata dai soggetti. Tre individui su cinque tra gli inattivi disponibili a lavorare si dichiarano in cerca di occupazione. Il limite temporale delle quattro settimane nelle quali svolgere un’azione di ricerca – una delle condizioni per essere classificato disoccupato – non modifica, dunque, la percezione degli individui che nella gran parte, si percepiscono come disoccupati”.
Quando parla, invece, degli “scoraggiati” (una fascia particolare degli inattivi, cioè di coloro che dichiarano di non cercare lavoro perché convinti di non trovarlo), Renzi cita i numeri giusti: nel 2012 erano 1 milione e 300 mila, cioè il 43% del totale. Il fenomeno interessa in misura consistente sia gli uomini (39,2%) che le donne (44,9%). Come riporta il documento stesso, “l’incidenza degli scoraggiati sale fino al 47% nelle Regioni meridionali, in cui alle minori opportunità d’impiego si affianca una maggiore sfiducia nella possibilità di trovare e mantenere un’occupazione. D’altra parte, la mancanza di competenze specifiche da spendere sul mercato del lavoro potrebbe alimentare un atteggiamento di rinuncia alla ricerca attiva: il 66% degli scoraggiati ha conseguito al massimo la licenza media”.
Il sindaco di Firenze cita correttamente i dati sugli scoraggiati ma, complice un sistema di definizioni ufficiali tutt’altro che intuitivo, compie un’inesattezza sul tema della disoccupazione, e di conseguenza porta casa un “Nì”.