Gli attentati di Parigi hanno riaperto il dibattito sui modi in cui conciliare integrazione, libertà di professare il proprio credo religioso, laicità dello Stato e sicurezza. Secondo Giorgia Meloni “l’Italia è uno Stato laico: ognuno ha il diritto di professare la religione che vuole, ma tutti devono rispettare le leggi dello Stato” e “il velo islamico che copre il volto è vietato dalla legge italiana”. È davvero così?
Il velo che copre il volto
Come mostra l’immagine, ripresa da un articolo della Bbc, esistono diversi tipi di abbigliamento nella tradizione islamica, indossato dalle donne quando escono di casa. Il più diffuso in Occidente è lo hijab, che copre i capelli e il collo ma lascia scoperto il volto.
Il più integrale, invece, è il burqa, un indumento che copre tutto il corpo e che comprende anche una retina davanti agli occhi. È diffuso principalmente in Afghanistan, Pakistan e presso alcune comunità musulmane dell’India.
In Europa
In Italia non esiste una legge che vieta precipuamente l’utilizzo di un velo che copra il volto come il niqab o il burqa. Ci sono solo due Paesi in Europa che hanno emanato una legislazione simile negli ultimi anni: la Francia, che ha vietato “una tenuta atta a dissimulare il viso” con una legge dell’ottobre 2010, e il Belgio, con una legge del giugno 2011.
È da notare che anche queste leggi non nominano espressamente i copricapi della tradizione islamica, ma istituiscono divieti a coprirsi il viso (e divieti a obbligare altri a farlo) nei luoghi pubblici. Nel dibattito che ha accompagnato l’attuazione di queste leggi, ad ogni modo, il collegamento con il burqa e il niqab è stato comunissimo, tanto che articoli di stampa vi hanno fatto riferimento usualmente con formule come “legge anti-burqa”.
La legislazione italiana
Chi sostiene l’esistenza di un divieto già in atto anche in Italia fa riferimento di solito a una legge che risale agli anni di piombo, quando il Paese dovette fronteggiare numerosi atti terroristici di matrice politica. Il riferimento è all’articolo 5 della n. 152 del 1975: la cosiddetta “legge Reale” sull’ordine pubblico, un provvedimento molto discusso e sottoposto a referendum nel 1978 (che ne mantenne la validità).
Nel 1977 la legge Reale venne modificata (con l’articolo 2 della legge n. 533) in senso più restrittivo nei confronti dell’abbigliamento da tenere in pubblico. La nuova formulazione dell’articolo che ci interessa diventò quindi: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”.
Se interpretiamo correttamente il ragionamento di Giorgia Meloni, il niqab o il burqa rientrerebbero tra quei mezzi che rendono difficoltoso il riconoscimento della persona, e pertanto sarebbero vietati. In realtà, è decisiva la clausola finale – “senza giustificato motivo”.
Il “giustificato motivo”
La questione giuridica ruota intorno a che cosa costituisca il “giustificato motivo” – e se in esso rientrino le convinzioni religiose e/o le tradizioni culturali. Un ottimo riassunto si trova in questo paper del 2011, pubblicato sul sito della rivista “Quaderni costituzionali”. In breve: sul caso si sono espressi diversi tribunali, solitamente dopo ricorsi contro ordinanze locali che vietavano i veli integrali.
Uno dei primi casi e più noti – un’ordinanza del sindaco di Azzano Decimo (PN) del 2004 – diede il via a una battaglia legale arrivata fino al Consiglio di Stato. Nella sentenza 3076/2008, il supremo tribunale amministrativo italiano ha scritto: “Il citato art. 5 [della legge del 1975] consente nel nostro ordinamento che una persona indossi il velo per motivi religiosi o culturali”.
Un altro testo chiamato in causa nel dibattito è il Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS). A dispetto dell’età, è ancora uno dei due provvedimenti legislativi fondamentali – insieme al regolamento per la sua attuazione, del 1940 – che regola l’attività della polizia in Italia. L’articolo 85 del TULPS dice: “È vietato comparire mascherato in luogo pubblico”. Ricordiamo un altro caso diventato celebre sulla stampa: il sindaco di Drezzo (CO) emanò il 12 luglio 2004 un’altra ordinanza per vietare l’uso dei veli islamici in pubblico, facendo riferimento sia al TULPS che alla legge del 1975. Il prefetto di Como la annullò meno di due mesi dopo, argomentando che il sindaco non aveva competenza in materia di ordine pubblico.
Il verdetto
Insomma, la sentenza del Consiglio di Stato e diversi altri casi giudiziari hanno chiarito che la legge italiana, al momento, non vieta i veli islamici. Nella scorsa legislatura era in discussione un disegno di legge che tentava di allargare l’interpretazione del provvedimento risalente al 1975, ma dopo un’approvazione alla Camera nell’agosto 2011, il testo si è perso per strada. L’affermazione di Giorgia Meloni fa dunque riferimento a un’interpretazione della legge che è stata più volte smentita, e dunque per noi è un “Pinocchio andante”.