L’utilizzo del voto di fiducia, da parte del governo, per far passare progetti di legge più o meno ordinari è un tema che fa spesso infervorare gli esponenti dell’opposizione parlamentare, qualsiasi essa sia. Da Di Pietro contro Monti a Brunetta e Meloni contro Renzi, fino ad arrivare a Di Battista che conta, quindi, illustri predecessori.
Le questioni di fiducia su progetti di legge poste dal governo Renzi sono 20 (10 al Senato e 10 alla Camera), una in più di quante ne ha contate Di Battista. Dal momento del suo insediamento – il 22 febbraio 2014 – alla data della dichiarazione del deputato 5 stelle, i mesi trascorsi sono circa 7,5 per una media di circa 2,7 voti di fiducia al mese. Ripetiamo lo stesso esercizio per gli altri tre governi dell’attuale legislatura e della precedente e otteniamo un divario ancora più rilevante di quello indicato da Di Battista. Secondo i nostri conti infatti, con 46 voti di fiducia in 42 mesi, il Berlusconi IV aveva una media di “appena” 1,1 voti di fiducia al mese, inferiore sia al 2,7 dei primi mesi di governo Renzi che all’1,8 del governo Monti. Più parco di richieste di fiducia (dovuto indubbiamente anche alla particolare composizione della maggioranza parlamentare in quel caso) il governo Letta con una media di 0,9.
Per completezza di informazione confrontiamo il numero di voti di fiducia ottenuti nello stesso periodo (i primi sette mesi e mezzo di operato) dai quattro governi riportati nel grafico in basso. Il quadro cambia nei primi posti: con 29 fiducie richieste il governo Monti aveva un tasso di utilizzo dello strumento pari a 3,9 al mese nei primi mesi di attività, a fronte delle 20 di Renzi (2,7/mese), 10 del governo Berlusconi (1,3/mese) e appena 3 di Letta (0,4/mese).
Di Battista scivola sui numeri ma non sul senso del confronto, concediamo quindi un “Vero”.