Durante una diretta Facebook tenuta sulla sua pagina personale, Matteo Renzi ha voluto ribattere a una dichiarazione rilasciata da Alessandro Di Battista nel corso della trasmissione Otto e Mezzo del 10 settembre. L’ex deputato pentastellato aveva infatti accusato Matteo Renzi e il Partito Democratico di aver ricevuto centinaia di milioni di euro di rimborsi elettorali (min. 8’ 25’’).

L’ex presidente del Consiglio ha replicato affermando che, mentre è stato segretario, il Partito Democratico non ha ricevuto alcun rimborso elettorale per le elezioni alle quali ha partecipato (min. 18’ 30’’). Secondo lo stesso senatore Renzi, i rimborsi sarebbero infatti stati percepiti fino alle elezioni nazionali del 2013. Dopo questa tornata elettorale la loro erogazione da parte dello Stato sarebbe cessata, poiché il Pd avrebbe eliminato la legge sul finanziamento pubblico ai partiti (min. 19’40”).

Verifichiamo la replica di Matteo Renzi.

La fine dei rimborsi elettorali

I rimborsi elettorali sono in effetti stati aboliti. Con il decreto legge 149 del 2013 è stato infatti cancellato il precedente sistema di rimborsi introdotti dalla legge 515 del 1993. La legge del 1993 prevedeva che lo Stato coprisse le spese sostenute dai partiti per le competizioni elettorali.

Il nuovo sistema, introdotto nel 2013, prevede invece un sistema di finanziamento privato basato sia su donazioni volontarie sia sulle detrazioni fiscali – come l’eventuale destinazione del 2×1000 Irpef a un partito politico.

La fine dei rimborsi elettorali non è però stata immediata. I rimborsi sono stati versati ai partiti per le spese sostenute per competizioni elettorali precedenti all’entrata in vigore del decreto legge. Essi sono stati erogati con una riduzione del 25% di anno in anno sul totale dovuto (75% nel 2014, 50% nel 2015 e 25% nel 2016) fino ad arrivare all’abolizione totale nel 2017.



Grafico 1: Rimborsi elettorali stanziati dal 2011 al 2017 – Fonte: Dati MEF rielaborati da Openpolis (Dossier “Sotto il materasso” 2016)


Renzi è stato segretario del Partito dall’8 dicembre 2013 al 12 marzo 2018. È quindi attento nel modo in cui formula la sua dichiarazione, che è precisa e corretta se si prende alla lettera la prima parte. Il Pd non ha più ricevuto rimborsi elettorali per le elezioni successive al 2013, ma fino al 2016 ha comunque continuato a ricevere le rate, via via decrescenti, dei rimborsi per le elezioni regionali precedenti all’approvazione della legge: per cui è un po’ forzato il «Mai abbiamo avuto rimborsi» che dichiara subito dopo.


I bilanci del partito certificano come nel 2014, nel 2015 e nel 2016 il PD a guida Renzi abbia beneficiato di alcuni rimborsi elettorali. Essi ammontavano a circa 14,07 milioni di euro per il 2014, 7,39 per il 2015 e 3,44 per il 2016, per un totale di circa 25 milioni di euro. Questi soldi sono però stati ricevuti per finanziare le spese sostenute dal Partito Democratico per tornate elettorali precedenti all’elezione di Matteo Renzi a segretario (nello specifico, quella del 2013).

 

Chi ha abolito la legge sul finanziamento diretto pubblico ai partiti?

Abbiamo già analizzato una dichiarazione di Matteo Renzi sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Adesso come allora, è necessario precisare che il decreto di abolizione dei finanziamenti diretti ai partiti è stato presentato il 28 dicembre 2013, approvato il 12 febbraio 2014 e diventato legge dello Stato il 20 febbraio 2014.

Allora il governo era presieduto da Enrico Letta. Matteo Renzi era segretario del Pd dall’8 dicembre 2013, ma sarebbe diventato Presidente del Consiglio solamente il 22 febbraio 2014, a seguito del giuramento del suo governo.

Dunque, quando Renzi afferma «abbiamo abolito il finanziamento pubblico ai partiti» dice il vero se e solo se per “noi” intende il Partito Democratico, poiché il governo responsabile per l’approvazione del provvedimento era l’allora governo Letta.

I trasferimenti ai gruppi parlamentari

Una piccola aggiunta. L’abolizione dei finanziamenti diretti non ha significato però la fine di tutti i trasferimenti dello Stato ai partiti.

Secondo l’articolo 15 (comma 4) del Regolamento della Camera dei Deputati e l’articolo 16 (comma 1 e 2) del Regolamento del Senato della Repubblica, i gruppi parlamentari ricevono dei contributi per finanziare le loro attività istituzionali. Questi fondi vengono erogati attingendo al bilancio della Camera e del Senato, i quali a loro volta vengono finanziati con soldi pubblici.

Tale spesa è tutt’altro che marginale. Per la Camera dei Deputati essa ammontava a 31,79 milioni di euro nel 2016 (ultimo bilancio consuntivo disponibile), cifra che viene prevista anche per il 2017, il 2018 e il 2019. Per il Senato della Repubblica, i trasferimenti ai gruppi parlamentari equivalevano a circa 21,337 milioni per il 2016, in leggero aumento rispetto ai due anni precedenti, mentre 21,35 milioni venivano previsti per l’anno 2017 (il bilancio consuntivo per il 2017 non è stato ancora pubblicato).

Queste cifre si sommano ovviamente agli stipendi e le indennità percepite annualmente da ogni singolo parlamentare.



Tabella 1: Spese del Senato per i senatori in carica e non, i gruppi parlamentari e il personale delle segreterie dei senatori con incarichi costituzionali – Fonte: Senato della Repubblica, Rendiconto delle entrate e delle spese per l’anno 2016

Il 2×1000: un contributo indiretto

Come già riportato in un’analisi precedente sull’abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti, il contributo tramite 2×1000 non è un semplice dono dei privati. Esso finisce per gravare anche sui contribuenti che non lo versano. Un costo che l’economista Roberto Perotti stimava allora in 30 milioni annui per il contribuente.

In un articolo pubblicato da LaVoce.info, Perotti avvertiva infatti che “i soldi ricevuti dai partiti attraverso il 2 per mille non sono un regalo deciso da privati: sono a carico di tutti i contribuenti. Il motivo è che il 2 per mille è di fatto una detrazione al 100 per cento dall’imposta dovuta. Se lo stato raccoglieva 10.000 euro in tasse per pagare sanità e pensioni, e ora un contribuente destina 1 euro a un partito attraverso il 2 per mille, tutti i contribuenti nel loro complesso dovranno pagare 1 euro di tasse in più per continuare a pagare pensioni e sanità”.

Il verdetto

Matteo Renzi, rispondendo ad Alessandro Di Battista, ha dichiarato che il Pd non ha ricevuto alcun rimborso pubblico per le spese sostenute per le campagne elettorali affrontate sotto la sua gestione (cominciata nel dicembre 2013). Renzi ha aggiunto che ciò è stato possibile grazie all’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, approvata dal suo partito.

Alcuni milioni di euro di rimborsi elettorali sono in realtà stati ricevuti dal Pd negli anni della segreteria Renzi, ma essi non riguardano competizioni elettorali sostenute sotto la guida dell’ex presidente del Consiglio. Erano infatti le rate del rimborso dovuto per le elezioni del 2013. Inoltre essi ammontano a 25 milioni di euro, ben lontani dalle centinaia di euro citate da Di Battista.

Inoltre, non è chiaro a chi Matteo Renzi attribuisca il merito dell’abolizione, quando afferma che «abbiamo abolito il finanziamento pubblico ai partiti». In concreto, è stato il governo Letta – a guida Pd, certo – a presentare e approvare il decreto legge di l’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti. Per queste imprecisioni, la dichiarazione di Matteo Renzi si merita un “C’eri quasi”.
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2018-09-17 14:11:58 UTC


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C’eri quasi




«Da quando io sono segretario del Pd, il Pd non ha mai ricevuto per le elezioni alle quali ha partecipato europee e politiche nazionali, neanche un centesimo […]. I rimborsi sono stati fatti fino alle elezioni del 2013 […]. Mai abbiamo avuto rimborsi, perché noi abbiamo cancellato la legge sul finanziamento pubblico ai partiti».





Matteo Renzi



Senatore Partito democratico

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mercoledì 12 settembre 2018


2018-09-12

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