Lo scorso 12 marzo, la Camera approvava il disegno di riforma delle legge elettorale. Il tutto avveniva con una maggioranza pari a 365 voti, mentre i voti contrari si fermavano a 156 e gli astenuti risultavano essere 40. Il testo veniva dunque trasmesso al Senato in data 14 marzo.



Uno dei nodi su cui si sviluppava il dibattito in aula risultava essere quello inerente la parità di genere nelle liste elettorali. Una parità che, pur espressamente contemplata nel testo del disegno di legge – si guardi l’articolo 1, comma 9, lett. b) – potrebbe, secondo più voci, non essere garantita adeguatamente sul piano sostanziale. Su tale fondamento sono stati avanzati tre emendamenti aventi come primo firmatario la deputata del Pd Agostini, improntati, anzitutto, al principio per cui nella successione interna delle liste non vi sarebbero potuti essere 2 candidati consecutivi del medesimo sesso. Ebbene, nulla da fare: la Camera ha respinto il trittico.



I moniti volti ad una modifica del disegno di legge, tra i quali quello della presidente della Camera Boldrini, prendevano in larga parte le mosse dalla stessa Costituzione, la quale – come evidenziava anche l’appello lanciato da 90 deputate di differente matrice partitica – non consentirebbe di “varare una nuova legge senza prevedere regole cogenti per promuovere la presenza femminile nelle istituzioni e per dare piena attuazione all’articolo 3 e all’articolo 51 della Costituzione”.



Ora, sebbene non sia questa la sede per un approfondimento sulla valenza dei citati articoli costituzionali, il rinvio ai medesimi permette comunque di comprendere la portata della dichiarazione di Alfano oggetto di verifica, con particolare riferimento all’art. 51. Proprio quest’ultimo articolo afferma oggi, al primo comma, che “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne”. Si noti che il secondo periodo del comma è stato aggiunto dalla legge costituzionale n. 1/2003. Peraltro, vale la pena ricordare che la legge costituzionale n. 3/2001, nel modificare il Titolo V della Costituzione, aveva già introdotto uno specifico obbligo in capo ai legislatori regionali per favorire la parità tra i sessi. Il settimo comma dell’art. 117 Cost. prevede, infatti, che “le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.



La revisione del 2003 avveniva effettivamente nel corso della legislatura presieduta da Silvio Berlusconi (governo Berlusconi II), in carica dal giugno del 2001 all’aprile del 2005. Naturalmente sarebbe riduttivo, al fine di attestare la veridicità della dichiarazione del leader di Ncd, limitarsi ad esaminare se la legge costituzionale citata fosse stata emanata durante la legislatura in questione o meno. Occorre andare oltre e accertare che il disegno di legge costituzionale provenisse effettivamente dallo schieramento cui Alfano fa riferimento. Anche tale domanda trova risposta positiva, come si ricava dalla scheda consultabile nel sito del parlamento dedicata alla legge costituzionale del 2003.



“Vero” per Angelino Alfano!