A Reggio Calabria, Alfano parla di lotta alla mafia e precisamente di lotta alla ‘ndrangheta, ricordando come il riconoscimento di quest’ultima nella legislazione sia stato un passaggio cruciale a cui lui stesso ha contribuito.
Tale riconoscimento è avvenuto con l’introduzione della ‘ndrangheta tra le associazioni di stampo mafioso nel corpo normativo. E’ stato infatti il decreto n. 4 del 2010 (art.6) – approvato definitivamente a marzo 2013 e intervenuto sulla materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati – a tipizzare la ‘ndrangheta come associazione di tipo mafioso, prevedendo la modifica di due norme del codice penale e della legge n. 575 del 1965 (Disposizioni contro la mafia). Infatti, l’ottavo comma dell’articolo 416-bis del codice penale attualmente recita così: ““Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”. Il primo articolo della legge 575 del 1965, invece, ora stabilisce che ““La presente legge si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra, alla ‘ndrangheta o ad altre associazioni […]”.
Dopo aver verificato che la ‘ndragheta sia diventata effettivamente parte della legislazione, proviamo a verificare se, e in che misura, questa norma sia stata “fortemente voluta” dall’attuale ministro dell’Interno. Prima di tutto puntualizziamo che Alfano era ministro della Giustizia nel 2010, quando il decreto (ossia un atto di origine governativa) è stato approvato dal Consiglio dei Ministri e quando è stato presentato al parlamento. Inoltre, dalla scheda informativa legata al provvedimento, disponibile sul sito del Senato, si evince che è stato presentato dal Presidente del Consiglio Berlusconi e da Maroni, allora ministro dell’Interno, in concerto con Alfano e Tremonti, allora ministro dell’Economia e delle Finanze.
Considerato tutto questo, non vediamo ragioni per negare un “Vero” al leader del Nuovo Centrodestra.