Berlusconi torna alla carica sfoderando uno dei suoi cavalli di battaglia: una modifica decisa della Costituzione per rendere il Paese più governabile. Nel salotto di Pomeriggio Cinque, in compagnia di Barbara d’Urso, il redivivo leader del Pdl elenca una serie di peculiarita’ della Carta costituzionale. Andiamo per ordine e vediamo se le ha azzeccate.
Partiamo dalla lamentata impossibilità di sostituzione di un ministro da parte del Presidente del Consiglio.
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Su questo punto Berlusconi sembra avere ragione.
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Un tale potere, in effetti, non gli è riconosciuto dalla Costituzione, che non dispone nulla in questo senso: l’articolo 92, secondo comma si limita ad attribuire al Presidente del Consiglio il potere di proporre al Presidente della Repubblica i ministri da nominare, ma non il potere di revocarli. Sul tema, possiamo attingere dal sito Forum Costituzionalisti un interessante articolo che ripercorre le diverse opinioni della dottrina in materia. Cerchiamo di farvela breve: c’è chi ritiene che il premier non abbia il potere di revocare un ministro; chi invece afferma che tale potere sia implicito in quello di nomina; e chi invece osserva che l’ostacolo sarebbe più di carattere politico che giuridico. Fatto sta che “sul punto la dottrina è discorde e propende per la non spettanza del potere di revoca in capo al Presidente del Consiglio poiché non espressamente contemplato dalla Costituzione”. E passando dalla teoria alla pratica, non si è mai verificata la revoca di un ministro: i rimpasti di governo avvenuti in passato sono sempre stati determinati da dimissioni forzose. Fin qui, tutto bene.
Passiamo al decreto legge, tema a cui Berlusconi sembra particolarmente appassionato (due analisi precedenti, in cui si lamentava che fosse una prerogativa del Presidente della Repubblica e non del governo, sono disponibili qui e qui). Su questo punto l’ex premier sembra proprio non sentirci. Al contrario di quanto affermato, in casi straordinari di necessità e di urgenza la Costituzione attribuisce al governo la possibilità di adottare provvedimenti provvisori con forza di legge (articolo 77). Il decreto legge così adottato ha efficacia immediata e decade solo se non è convertito in legge dal parlamento entro 60 giorni.
Vediamo infine se è vero che, per vedere realizzata una legge, bisogna aspettare più di un anno. Nella tabella sotto possiamo osservare il tempo medio di approvazione di disegni di legge – distinti per tipo di iniziativa – nelle ultime quattro legislature (le uniche per cui i dati siano disponibili sui siti istituzionali). I dati, disponibili sul sito del Senato, mostrano che soltanto alla Camera nella lontana XIII legislatura il tempo medio ha superato l’anno. In tutti gli altri casi, se guardiamo alle leggi di iniziativa parlamentare (a cui fa presumibilmente riferimento Berlusconi) i tempi medi di approvazione non hanno mai superato l’anno, attestandosi piuttosto su una media di 5 mesi e mezzo al Senato e poco più di 9 mesi alla Camera.
Un’analisi più approfondita mostra, però, che questa rappresentazione operata dalle Camere è particolarmente fuorviante e le modalità di calcolo non molto chiare. Il conteggio inizia a partire dal primo esame del ddl (non è specificato se all’interno delle commissioni parlamentari o in Aula) e non da quando l’iniziativa è stata presentata. Non sappiamo, inoltre, se i giorni contati siano tutti, o ad esempio solo quelli feriali, o ancora solo quelli in cui si riunisce il parlamento. La discordanza è particolarmente evidente se guardiamo all’unica legge di iniziativa popolare approvata nell’ultima legislatura e che, secondo la tabella, sarebbe stata approvata in 3 giorni. Sulla scheda della legge scopriamo invece che questa è stata presentata per la prima volta il 5 dicembre 2011, e approvata definitivamente in legge il 5 luglio 2012!
Andiamo a vedere qualche altro esempio concreto. Per farci un’idea siamo andati a spulciare una per una tutte le leggi di iniziativa parlamentare adottate nel 2009 e nel 2010 (nel 2008 ci furono le elezioni e nel 2011 il governo cadde) per vedere se, in un biennio relativamente tranquillo di governo, Berlusconi abbia effettivamente ragione. Dai nostri calcoli abbiamo ricavato che nel 2009 in media ci sono voluti 301 giorni per approvare una legge, e nel 2010 ce ne sono voluti 528. Nel calcolo ci siamo tenuti larghi di proposito, considerando il periodo di riferimento a partire dalla prima presentazione del testo fino alla sua approvazione finale e contando tutti i giorni in mezzo, anche i fine settimana o i periodi in cui le Camere sono chiuse (ad es. la pausa estiva). Vediamo che quanto afferma Berlusconi è vero in media per il 2010 (in cui peraltro in alcuni singoli casi – come questo o questo – ci sono voluti anche più di due anni per approvare una legge). Tuttavia, pur tenendoci larghi, non è vero per il 2009, dove i tempi sono mediamente inferiori all’anno. Non mancano poi casi di leggi approvate ben più rapidamente, in 3, 4 o 5 mesi (rispettivamente qui, qui, e qui). Per quanto siano innegabili le lungaggini del processo legislativo, non è vero – e gli esempi lo dimostrano – che la Costituzione non consenta l’approvazione di una legge in tempi inferiori all’anno.
Insomma, troppo facile addossare tutte le colpe alla Costituzione. Con una dichiarazione vera e due panzane Berlusconi si porta a casa un “Pinocchio andante”!