Il deputato di Forza Italia e già in passato tra gli avvocati di Silvio Berlusconi, Francesco Paolo Sisto, ha duramente criticato il decreto legge “Dignità” presentato dal ministro Di Maio, sostenendo che avrà inevitabilmente l’effetto di aumentare le cause nei tribunali.



Si tratta di una previsione non priva di fondamento.



Cos’è e cosa dice il dl Dignità



Il cosiddetto “decreto Dignità” è stato approvato inizialmente il 2 luglio dal Consiglio dei ministri, con il titolo “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese” (da cui il soprannome). Contiene diverse novità nell’ambito della disciplina del lavoro. Tra le altre, il ritorno dell’obbligo, per i datori di lavoro, di indicare le ragioni che giustificano l’esigenza di un contratto a termine invece che indeterminato.



La bozza diffusa all’epoca da fonti di stampa (ma, come vedremo, successivamente modificata prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) recitava infatti: “Si intendono limitare i casi di ricorsi ai contratti a termine attraverso l’introduzione di misure che diano al datore di lavoro l’onere di dimostrare le cause che hanno condotto alla volontà di utilizzare tale strumento in luogo di una diversa tipologia contrattuale”.



Insomma, si prevedeva un ritorno delle cosiddette “causali” per i contratti a termine, con l’obbiettivo di scoraggiare l’uso dei contratti a termine. Su questo aspetto del dl Dignità, in particolare, si concentrano le critiche di Sisto, e non solo sue (la polemica sugli 8 mila posti di lavoro che si perderebbero ogni anno, secondo previsioni Inps, è invece successiva).



Quando erano state eliminate?



L’obbligo di indicare la causale nei contratti a termine era stato eliminato pochi anni fa, con due provvedimenti successivi.



Il primo risale al governo Monti, quando con la legge 92/2012 (la cosiddetta “legge Fornero”) si è introdotta per la prima volta la possibilità di stipulare contratti a termine senza indicare la causale. Allora però questi contratti “a-causali” non erano prorogabili ed erano sottoposti alla condizione che si trattasse del primo rapporto lavorativo tra le stesse parti.



Il secondo provvedimento, contenuto nel Jobs Act (d.l. 34/2014) del 2014, ha eliminato del tutto le causali. La legge-bandiera del governo Renzi, riformando (all’art. 1 co.1 lett. a n.3) la precedente normativa (d.lgs. 368/2001 art. 1 co.1-2) sui contratti a termine, ha infatti cancellato l’obbligo per il datore di specificare per iscritto nel contratto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificano la temporaneità del contratto.



Con che impatto sul contenzioso?



Abbiamo chiesto e ottenuto i dati sulle cause di lavoro al Ministero della Giustizia. Essi mostrano che il contenzioso sui rapporti a termine è in drastica caduta negli ultimi anni, nonostante il costante aumento del numero di questi contratti negli ultimi anni.






Siamo infatti passati da 16.226 cause iniziate nel 2012 (l’anno prima che entrasse in vigore la legge Fornero, la prima a intervenire sul punto che ci interessa), a 10.128 nel 2013. Negli anni successivi, poi, le cause intentate sono calate ancora: 7.929 nel 2014, 6.987 nel 2015, 5.293 nel 2016 e 4.491 nel 2017.



Il crollo è evidente. Con la legge Fornero prima e il Jobs Act poi il numero di cause si è ridotto di più di tre volte.



In particolare, le cause nel settore privato – quello maggiormente interessato dalle riforme Fornero e Jobs Act, e che nel 2012 rappresentavano il sottoinsieme più grande – sono passate da 7.378 nel 2012 a 888 nel 2017: quasi nove volte in meno.



Dunque è probabile che, reintroducendo l’obbligo di indicare la causale nei contratti a termine, il contenzioso aumenti nuovamente. I lavoratori avrebbero infatti la possibilità di portare in tribunale il datore di lavoro proprio sullo specifico punto della “causa” – le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo – che avevano giustificato il loro contratto a termine, sostenendo ad esempio che sia fittizia.



La nuova versione del dl Dignità



Il governo Conte ha leggermente modificato il dl Dignità, rispetto alla bozza, prima di pubblicarlo in Gazzetta Ufficiale e ha fatto una parziale marcia indietro sulle causali.



Queste infatti tornano per la maggior parte dei contratti a termine, come previsto originariamente, ma non per quelli di carattere stagionale, che continueranno ad essere esentati dall’obbligo (v. art. 1 co.1 lett. b) del decreto Dignità).



Il verdetto



La previsione di Sisto è fondata. Come abbiamo visto il numero di cause relative ai contratti a termine, in particolare nel settore privato, è diminuito moltissimo da dopo la legge Fornero e il calo si è accentuato ulteriormente con il Jobs Act: due provvedimenti che hanno progressivamente eliminato l’obbligo di indicare le causali.



Dunque è lecito ipotizzare che un loro ritorno possa comportare un aumento del contenzioso in materia. Ma si tratta pur sempre di una previsione, per cui lasciamo un margine di incertezza per lo sconosciuto futuro: “C’eri quasi” per Sisto.



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2018-07-17 16:07:36 UTC
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C’eri quasi
«L’aumento del contenzioso è uno degli effetti collaterali inevitabili del dl Dignità»
Francesco Paolo Sisto
Deputato Forza Italia
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martedì 3 luglio 2018
2018-07-03