Durante la sua intervista a Che tempo che fa, Renato Brunetta attacca il presentatore, Fabio Fazio, sulla trasparenza dei compensi di chi lavora in Rai. Tuttavia è una storia che racconta solo a metà.



Se è vero infatti, che c’è una legge – il decreto legislativo del 14 marzo 2013, n. 33 – che obbliga le amministrazioni pubbliche a fornire dettagli anche sulle cifre dei compensi di dirigenti e collaboratori, è anche vero che la Corte di Cassazione, secondo due ordinanze del dicembre del 2011 (ordinanze n. 28329 e 28330), spiega che la Rai “è una società per azioni per volontà stessa del legislatore e, seppure soggetta ad una disciplina particolare per determinati aspetti ed a determinati fini, riguardanti anche la giurisdizione, chiaramente dettata da interessi di natura pubblica, per tutto quanto non diversamente previsto non può che essere regolata secondo il regime generale delle società per azioni”. La Rai, secondo il testo della sentenza dell’ordinanza 28329, emessa per rispondere ad un ricorso della Rai al Tar del Lazio, “non è in alcun modo annoverabile tra le pubbliche amministrazioni […]”. Sebbene la Corte riconosca che è “fortemente caratterizzata da peculiari aspetti e tuttora in mano pubblica”, “resta pur sempre una società per azioni”.



Il 16 ottobre 2013, tre giorni dopo il “J’accuse” di Brunetta, l’ufficio stampa della Rai ha pubblicato una risposta in difesa di Fabio Fazio, puntualizzando anche che il conduttore diceva il vero nel sostenere che il programma si ripagasse con la pubblicità.



Brunetta sbaglia, ma si risparmia una “Panzana pazzesca” per via della natura ibrida della Rai: “Pinocchio andante”.