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Boschi esagera il numero di posti di lavoro creati dal Jobs Act

| 08 settembre 2022
La dichiarazione
«Il Jobs Act ha portato più di un milione di posti di lavoro in più nel nostro Paese»
Fonte: Il Messaggero | 5 settembre 2022
ANSA/ETTORE FERRARI
ANSA/ETTORE FERRARI
Verdetto sintetico
La deputata di Italia viva esagera.
In breve
  • L’espressione “Jobs Act” fa riferimento a una serie di misure per il mercato del lavoro introdotte dal governo Renzi, rimasto in carica tra il 2014 e il 2016. TWEET
  • Da quando è stato introdotto il Jobs Act alla fine del governo Gentiloni, nel 2018, gli occupati in Italia sono cresciuti di circa 900 mila unità, un numero non lontano da quello indicato da Boschi. Questo conto ha però tre limiti. TWEET
  • Il Jobs Act è fatto di diversi interventi: l’aumento si riduce se si prendono in considerazione i mesi successivi, per esempio, all’introduzione del contratto a tutele crescenti, avvenuto a dicembre 2014. In più, gli “occupati” non sono necessariamente “posti di lavoro”. TWEET
  • Infine, è un ragionamento semplicistico individuare tra una riforma del lavoro e un aumento del numero degli occupati un nesso certo di causalità. TWEET
Il 5 settembre, la deputata di Italia viva Maria Elena Boschi, alla presentazione dei candidati dell’alleanza tra il suo partito e Azione per le elezioni del 25 settembre, ha difeso il Jobs Act, affermando che questo «ha portato più di un milione di posti di lavoro in più» in Italia.

Da anni questo risultato viene rivendicato dagli attuali esponenti di Italia viva, un tempo nel Partito democratico, e dallo stesso leader del partito Matteo Renzi. L’affermazione di Boschi è però esagerata, per una serie di motivi.

Di che cosa stiamo parlando

Con l’espressione “Jobs Act” si fa generalmente riferimento a una serie di provvedimenti adottati dal governo Renzi (di cui Boschi era ministra), rimasto in carica da febbraio 2014 a dicembre 2016, nell’ambito del mercato del lavoro. Alcuni di questi interventi sono stati strutturali, come l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti; altri sono temporanei, come le decontribuzioni per i nuovi assunti.

In breve, l’obiettivo principale del Jobs Act è stato quello di raggiungere una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro per far crescere l’occupazione del nostro Paese. Il provvedimento principale del Jobs Act è stato approvato a dicembre 2014, mentre il primo intervento in ordine cronologico (il cosiddetto “decreto Poletti”) era arrivato a marzo 2014. Tra le altre cose, il Jobs Act ha anche eliminato la possibilità di reintegrare un lavoratore licenziato per motivi economici, sostituendola con il pagamento di un indennizzo.

L’andamento degli occupati

Come periodo di tempo, prendiamo in considerazione l’intervallo tra febbraio 2014 – quando si è insediato il governo Renzi – e maggio 2018, prima dell’entrata in carica del primo governo guidato da Giuseppe Conte. Da quel mese in poi, sono state introdotte nuove misure, come il cosiddetto “decreto Dignità”, per cambiare il mercato del lavoro e in seguito c’è stata anche la crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19.

Secondo i dati Istat, durante il governo Renzi e quello successivo, guidato da Paolo Gentiloni (Pd), in Italia il numero totale degli occupati è cresciuto di circa 900 mila unità, un numero non lontano dal «milione» indicato da Boschi. Questo calcolo ha però almeno tre limiti.

Innanzitutto, come abbiamo anticipato, il Jobs Act è composto da diversi interventi: se si prende come punto di partenza dicembre 2014, quando è stato introdotto il contratto a tutele crescenti, il risultato sull’aumento degli occupati cambia, scendendo sotto le 700 mila unità. 

In secondo luogo, i numeri che stiamo citando riguardano gli occupati, mentre Boschi parla di «posti di lavoro». I due termini non sono sinonimi: secondo la definizione dell’Istat, la prima categoria è infatti più ampia della seconda, perché fa riferimento anche a impieghi occasionali e temporanei, e non solo a lavori continuativi e stabili (quelli che comunemente si intendono con i “posti di lavoro”).

Infine, è un ragionamento semplicistico individuare tra una riforma del lavoro e un aumento del numero degli occupati un nesso certo di causalità. Come per tutti gli interventi di politica pubblica, è difficile calcolare con precisione l’impatto di una nuova legge, isolandolo da altri fattori in gioco. In questo caso, per esempio, dal 2014 in poi in tutta l’Unione europea si è registrata una dinamica di crescita degli occupati. 

Secondo alcuni studi, le misure del Jobs Act hanno contribuito a far crescere l’occupazione, a tempo determinato e indeterminato, ma anche i licenziamenti. Non tutti gli occupati registrati in più negli anni successivi all’introduzione del Jobs Act sono però attribuibili a questa riforma del lavoro.

Il verdetto

Secondo Maria Elena Boschi, «il Jobs Act ha portato più di un milione di posti di lavoro in più nel nostro Paese». La deputata di Italia viva esagera. 

L’espressione “Jobs Act” fa riferimento a una serie di misure per il mercato del lavoro introdotte dal governo Renzi, rimasto in carica tra il 2014 e il 2016. Da quando è stato introdotto il Jobs Act alla fine del governo Gentiloni, gli occupati in Italia sono cresciuti di circa 900 mila unità, un numero non lontano da quello indicato da Boschi. Questo conto ha però tre limiti.

Il Jobs Act è fatto di diversi interventi: l’aumento si riduce se si prendono in considerazione i mesi successivi, per esempio, all’introduzione del contratto a tutele crescenti, avvenuto a dicembre 2014. In più, gli “occupati” non sono necessariamente “posti di lavoro”. Infine, è un ragionamento semplicistico individuare tra una riforma del lavoro e un aumento del numero degli occupati un nesso certo di causalità.

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