L’incredibile scandalo delle slot machines dura oramai da parecchi anni. Se fino al 2002 i famosi videopoker erano illegali, fu il governo Berlusconi II a sottrarre il controllo alla criminalità organizzata. La legge 289 dello stesso anno (art. 22) assegnava, infatti, all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), sotto la direzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la facoltà di assegnare il nulla osta ai concessionari, produttori od importatori di macchine da gioco. Questi ultimi avrebbero dovuto sottostare ai requisiti tecnici richiesti dallo Schema di Convenzione con l’AAMS, in particolare, quelli richiesti dall’art. 4 (la configurazione in rete delle macchine per trasmettere al Ministero delle Finanze tutte le informazioni riguardanti l’incasso a fini fiscali), o dall’articolo 8.2 del Capitolato Tecnico.


Le cose non andarono purtroppo così. Fu il Secolo XIX, nel 2006, a svolgere le prime indagini, conducendo un’inchiesta sulle pratiche illegali che caratterizzavo la condotta dei maggiori concessionari. Questi, secondo l’indagine del quotidiano genovese, avevano mancato di connettere un numero vastissimo di macchine al modem della Sogei (Società di Information and Communication Technology del Ministero delle Finanze). Alle prime stime dell’inchiesta seguì l’incarico, da parte del viceministro dell’Economia Vincenzo Visco al sottosegretario di Stato Alfiero Grandi, di condurre una commissione d’inchiesta sull’accaduto. Le prime stime, secondo quanto si può leggere dall’interrogazione parlamentare presentata successivamente dal parlamentare Tommaso Pellegrino dei Verdi, dipingevano una realtà impressionante: un danno erariale, tra tasse evase e multe previste per ciascuna macchina non collegata alla rete, che raggiungeva i 98 miliardi di euro nel periodo 2004-2007. Una cifra mostruosa, che suscitò scalpore nel contesto di stabilizzazione dei conti pubblici e dell’innalzamento della pressione fiscale operato dal governo Prodi.


Il procuratore generale del Lazio, Marco Smiroldo, citò in giudizio le società gestrici delle macchine da gioco, ma il processo giudiziario si trascinò per anni: i concessionari presentarono ricorso in Corte di Cassazione (pag. 21 della Relazione 2009 del procuratore generale della Corte dei Conti), sollevando dubbi sulle competenze della Corte dei Conti in materia e richiedendo di trasferire il processo al Tar del Lazio – ricorso respinto successivamente dalla stessa Corte.


La sentenza è sopraggiunta poco tempo fa, il 17 febbraio del 2012. La richiesta avanzata dal Pm Smiroldo – un risarcimento complessivo di 70 miliardi di euro da parte delle concessionarie ritenute colpevoli (pagg. 3-4-5 della sentenza) – non è stata accolta, ma la Corte ha comunque assegnato una pena complessiva di 2,5 miliardi di euro (le motivazioni si possono leggere a pag. 99 del documento). La più colpita è stata la Bplus Giocoreale Ltd., condannata a versare una somma di 845 milioni di euro (contro la richiesta iniziale di 31 miliardi), a cui è stata successivamente revocata la licenza da parte dei Monopoli di Stato.


Grillo non sbaglia, quindi, nel citare la cifra iniziale di 98 miliardi di euro. E’, però, importante notare come il caso sia oramai stato chiuso da un intricato processo giudiziario, e che la stessa Corte dei Conti ha giudicato impossibile imporre alle società concessionarie una sanzione complessiva di una tale entità. I 98 miliardi sono, quindi, soldi persi e non recuperabili. Riportare il settore dei videpoker alla luce, tra l’altro, non garantirebbe affatto 98 miliardi di euro aggiuntivi ogni anno. Questi sono, come specificato precedentemente, il risultato dell’evasione e delle multe arretrate accumulate dalle principali concessionarie di videopoker, su un periodo quadriennale, e non rappresentano il gettito fiscale annuale che andrebbe a rimpinguare le casse dello Stato una volta rafforzate le attività di sorveglianza dell’AAMS. Riteniamo, quindi, giusto, nonostante Grillo abbia riportato la cifra esatta, sanzionare la sua dichiarazione con un “Nì” per un messaggio sostanzialmente errato.