Poco più di un anno fa, in occasione della campagna per le primarie 2012 del Pd, Matteo Renzi inseriva tra le priorità del suo programma la semplificazione delle fonti del diritto del lavoro. Non senza qualche imprecisione sul numero corretto di norme in cui si articola quest’ultimo, come avevamo scoperto in questa precedente analisi. Che il sindaco di Firenze abbia aggiustato il tiro in occasione della recentissima edizione della Leopolda?
In linea generale niente da eccepire in merito all’ampiezza della legislazione sul rapporto di lavoro. La stessa dottrina riconosce apertamente che “l’incertezza regna sovrana, con costi fortissimi per l’individuo incapace di orizzontarsi nella giungla di fonti, di norme e di arresti giurisprudenziali” (così Vallebona, Breviario di diritto del lavoro). In questo contesto trova un fondamento, dunque, il richiamo del sindaco ad un’urgente razionalizzazione del mastodontico apparato normativo.
D’altra parte, però, parlare di “Codice del lavoro” e di un numero di articoli determinato lascia più di una perplessità. Quanto al primo aspetto, è Renzi stesso a chiarire. Il cosiddetto Codice del lavoro che studenti, magistrati, avvocati, consulenti del lavoro utilizzano non è altro che una raccolta di normative che vanno, per citare le più importanti, dal Codice civile al Codice di procedura civile, dallo Statuto dei lavoratori alla Legge n. 223/1991, dalla Riforma Biagi del 2003 alla Legge Fornero del 2012. Dunque, non sarebbe corretto equiparare una simile raccolta con i codici propriamente detti, che restano il Codice civile, quello penale e quelli del processo civile, penale, amministrativo.
Il giudizio sul secondo aspetto accennato da Renzi – inerente il calcolo di un numero esatto di articoli – si evince direttamente da quanto si è già detto: a seconda che la raccolta delle normative in materia giuslavoristica sia più o meno ampia (scelta che, in concreto, è presa dalle singoli case editrici nella redazione dei codici del lavoro), cambia pure il numero di articoli da cui la stessa è, nel complesso, formata. Dunque, non vi è un parametro oggettivamente riconoscibile per stabilire l’esatto numero degli articoli, né sarebbe comprensibile o utile a qualsivoglia giurista un riferimento all’articolo 256 o 1999, come invece avverrebbe, ad esempio, nel Codice civile.
Dalla dichiarazione emerge un Matteo Renzi puntuale nell’evitare confusioni sulla corretta nozione di Codice del lavoro ma, se si guarda alla scorsa analisi, ancora una volta poco comprensibile quando cerca di enumerare le norme che comporrebbero quest’ultimo… Non si va oltre il “Nì”!