Il 1° giugno il governo italiano ha reso disponibile per il download Immuni, un’applicazione per smartphone che serve a tracciare i contatti (contact tracing) degli utenti risultati positivi al nuovo coronavirus e rallentare così la catena dei contagi. Sebbene sia già possibile per tutti installare l’applicazione, il sistema di contact tracing non è ancora operativo su tutto il territorio nazionale: dovrà prima superare una fase di sperimentazione che comincerà l’8 giugno in Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia.

Intervistata dal Tg1 il 2 giugno, la ministra per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano ha dichiarato (minuto 1:05): «Ad oggi siamo il primo grande Paese in Europa ad utilizzare una tecnologia del genere per il contrasto del coronavirus».

Ma davvero nessun altro Stato membro dell’Unione aveva già attivato applicazioni digitali per il contact tracing, prima del rilascio di Immuni? Abbiamo controllato.

L’app Immuni

Per prima cosa, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sul funzionamento e gli scopi dell’applicazione di contact tracing attualmente disponibile in Italia.

Per sviluppare Immuni, governo e Regioni hanno collaborato con le società pubbliche Sogei e PagoPa e con Bending Spoons, un’importante società milanese che ha fornito gratuitamente allo Stato italiano il codice per lo sviluppo del software. Il modello di base, poi, è una tecnologia chiamata Exposure Notification System. messa a disposizione da Google e Apple, che permette di archiviare i codici degli utenti direttamente sui loro dispositivi mobili (ci torneremo).

Il comunicato rilasciato dal Ministero della Salute il 1° giugno ha chiarito – in seguito a varie polemiche – che l’utilizzo dell’applicazione rimarrà volontario.

Il funzionamento di Immuni è piuttosto semplice: a partire da quando un utente scarica e attiva l’applicazione sul proprio smartphone, la tecnologia Bluetooth inizia a riconoscere i dispositivi elettronici che si trovano nelle sue vicinanze (in particolare, come spiegato dalla ministra Pisano, a meno di due metri di distanza per un tempo minimo di 15 minuti) e che hanno a loro volta attivato l’applicazione. Immuni registra un codice alfanumerico per ogni contatto e, nel momento in cui uno di questi dovesse risultare positivo alla Covid-19 (in seguito al risultato di esami sanitari: l’applicazione, ovviamente, non può diagnosticare nulla), il sistema provvede ad inviare una notifica a tutti coloro che hanno avuto contatti con quella persona, informandoli della situazione di rischio e invitandoli a visitare un medico.

I lavori per l’app Immuni sono iniziati già nel mese di marzo e il via libera definitivo alla piattaforma è stato deciso con l’articolo 6 del decreto legge del 30 aprile 2020, dedicato proprio al «sistema di allerta Covid-19». Il lancio dell’applicazione è però stato rimandato più volte, anche a causa delle preoccupazioni sorte intorno al tema della privacy. Si era infatti diffuso il timore secondo cui il funzionamento dell’app sarebbe stato troppo invasivo, poiché il sistema avrebbe permesso alle autorità di conoscere nel dettaglio incontri e spostamenti degli utenti (ne abbiamo parlato anche su Facta).

Il Ministero della Salute ha però chiarito che la versione ufficiale e definitiva di Immuni, lanciata il 1° giugno, «è stata sviluppata nel rispetto della normativa italiana e di quella europea sulla tutela della privacy». L’applicazione, infatti, non utilizzerà alcun dato personale che possa ricondurre «all’identità della persona positiva o di chi abbia avuto contatti con lei», poiché gli utenti vengono individuati soltanto tramite codici alfanumerici anonimi.

Quando le strutture sanitarie riscontrano un nuovo caso positivo, il codice del soggetto – se consenziente – viene segnalato nel sistema come potenzialmente contagioso. A quel punto, l’applicazione procede a notificare «gli utenti con i quali il caso positivo è stato a stretto contatto», consigliando loro di rivolgersi al proprio medico per ricevere informazioni e decidere come procedere. Gli utenti che ricevono la notifica, comunque, non hanno modo di sapere chi sia la persona positiva con cui sono entrati in contatto.

Fonti di stampa riportano che il 2 giugno, a 24 ore dal rilascio, già 500 mila utenti avevano scaricato l’applicazione Immuni.

Il tracciamento dei contatti può essere un alleato importante per sconfiggere malattie altamente contagiose e l’Italia non è stato l’unico Paese europeo ad essersi interessato ad applicazioni che permettano di tracciare i cittadini positivi al nuovo coronavirus direttamente tramite i telefoni cellulari. Già prima del lancio di Immuni, infatti, diversi governi avevano attivato applicazioni molto simili. Vediamo le principali.

La situazione in Europa

L’Austria è stata tra i primi Paesi europei ad attivare un’applicazione nazionale di contact tracing. Già dal 25 marzo scorso, infatti, è possibile scaricare Stopp Corona, un’app gestita dalla Croce rossa austriaca con un funzionamento simile all’italiana Immuni. Una differenza sostanziale sta però nel fatto che Stopp Corona è abilitata a conservare per 30 giorni il numero di telefono di una persona risultata positiva alla Covid-19, mentre Immuni non può in nessun caso accedere ai nostri dati personali.

L’11 aprile è stata la volta della Repubblica Ceca, che ha reso disponibile l’app di contact tracing eRouska. L’applicazione sfrutta la tecnologia Bluetooth e funziona in modo simile alla nostra Immuni.

Poco dopo, il 16 aprile, anche la Norvegia ha lanciato la propria app di contact tracing, Smittestopp, che sfrutta sia il Bluetooth che i sistemi di localizzazione dei cellulari. Il 24 aprile, poi, la Polonia ha attivato l’applicazione ProteGO per i suoi cittadini.

Dopo una prima fase sperimentale, la Francia ha lanciato l’app StopCovid il 2 giugno: un giorno dopo la pubblicazione ufficiale di Immuni che però, lo ricordiamo, in Italia non è ancora funzionante su tutto il territorio nazionale. StopCovid utilizza la tecnologia Bluetooth e registra gli utenti che si trovano a meno di un metro di distanza per almeno 15 minuti, inviando poi una notifica nel caso di contatti potenzialmente rischiosi con persone risultate positive al coronavirus.

Segnaliamo infine che al 4 giugno Svizzera, Germania, Spagna, Finlandia e Regno Unito stanno attualmente sviluppando o testando applicazioni nazionali di contact tracing.

Dunque possiamo dire che l’Italia, tra i grandi Paesi europei, sia seconda solo alla Francia, se consideriamo il momento in cui la app diventa attiva (sarebbe prima se considerassimo il momento in cui la app è scaricabile, ma ci sembra un criterio di giudizio meno sensato). Gli altri Paesi europei che hanno preceduto l’Italia sono infatti piccoli o medi.

Il verdetto

Il 2 giugno, il giorno successivo al lancio dell’applicazione di contact tracing Immuni, la ministra per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano ha detto che l’Italia è stato «il primo grande Paese in Europa ad utilizzare una tecnologia del genere per il contrasto del coronavirus».

Abbiamo controllato, e l’affermazione è leggermente imprecisa. Se Germania, Spagna e Regno Unito non hanno infatti ancora lanciato un’applicazione nazionale di contact tracing (ma stanno conducendo test per avviare il progetto in tempi stretti), la Francia ci ha preceduto.

L’app francese StopCovid è infatti attiva dal 2 giugno. Immuni invece, anche se è stata presentata ufficialmente il 1° giugno, non è ancora funzionante e dovrà superare una fase sperimentale che comincerà l’8 giugno. Quindi possiamo dire che tra i “grandi” d’Europa arriviamo secondi.

Se poi allarghiamo lo sguardo anche a Paesi più piccoli dell’Italia, sono diversi gli Stati membri dell’Unione Europea che hanno attivato una piattaforma digitale di contact tracing prima di noi: ad esempio l’Austria, che ha lanciato l’app Stopp Corona il 25 marzo, la Norvegia, che ha reso disponibile Smittestopp il 16 aprile, o la Polonia, che ha attivato ProteGO il 24 aprile. In conclusione, Pisano si merita un “C’eri quasi”.