Il 2 giugno, ospite a DiMartedì su La7, il leader di Azione Carlo Calenda ha criticato la gestione del governo dell’emergenza coronavirus, dicendo (min. 33:23) che «abbiamo parcheggiati 6,7 miliardi di fondi europei senza cofinanziamento».

Calenda ha riportato (min. 1:00:51) lo stesso dato anche il giorno dopo, in un intervento a Speciale TgLa7, dove ha sostenuto che ci sono «6,7 miliardi di fondi europei che l’Europa ha detto: “Spendete senza cofinanziamento”». Nei giorni precedenti il leader di Azione aveva già scritto un concetto simile anche su Twitter.

Ma è vero che non abbiamo ancora usato miliardi di euro – oltre 6 secondo Calenda – di fondi Ue per la crisi? Abbiamo verificato e il leader di Azione ha sostanzialmente ragione. Vediamo i dettagli.

Un breve ripasso sui fondi europei

I Fondi strutturali e d’investimento europeo (Fondi Sie) sono la principale fonte di risorse comunitarie per le politiche di coesione del nostro Paese, ossia quegli interventi pensati, tra le altre cose, per ridurre le disparità di sviluppo fra le regioni e uguagliare le opportunità socio-economiche dei cittadini.

Per il ciclo di programmazione 2014-2020, l’Ue ha messo a disposizione dell’Italia circa 44,6 miliardi di euro di Fondi Sie, a cui vanno aggiunti circa 30,5 miliardi di euro di risorse nazionali, destinate al cosiddetto “cofinanziamento”.

L’utilizzo dei fondi strutturali europei, infatti, deve essere accompagnato da quello di risorse nazionali (“principio di addizionalità”), dal momento che i fondi Ue non sono erogati per sostituire del tutto la spesa pubblica o gli investimenti strutturali di un Paese nelle regioni interessate, che a seconda del loro grado di sviluppo ricevono più o meno risorse (in Italia le regioni del Sud sono quelle che ricevono di più).

Come spiega un dossier del Parlamento pubblicato a fine marzo 2020, i due fondi strutturali con più risorse comunitarie (quasi 33 miliardi di euro) sono il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e il Fondo sociale europeo (Fse), mentre oltre 11 miliardi di euro sono per il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp).

Per quanto riguarda il Fesr e il Fse, per gli anni 2014-2020 l’Italia ha concordato con la Commissione Ue 51 “Programmi operativi” – che descrivono modalità e tempi di spesa per i fondi europei – di cui 39 sono regionali (Por) e 12 nazionali (Pon). Come vedremo meglio tra poco, il coinvolgimento tra Stato, amministrazioni centrali e regionali è centrale nella questione sollevata da Calenda.

Secondo i dati della Commissione Ue, sul budget totale di oltre 75 miliardi di euro (che comprendono sia i fondi europei che quelli di cofinanziamento), al 31 dicembre 2019 ne erano stati spesi il 35 per cento (circa 26,3 miliardi di euro) e allocati quasi 55 miliardi (il 73 per cento).

Ma che cosa c’entrano queste risorse con l’emergenza coronavirus?

Più flessibilità per i fondi Ue

Tra marzo e aprile 2020 l’Ue – su proposta della Commissione, con il sì del Parlamento e del Consiglio – ha approvato due pacchetti di misure per aumentare la flessibilità sull’utilizzo dei fondi strutturali europei: il Coronavirus response investment initiative (Crii) e il Coronavirus response investment initiative plus (Crii+).

«Quando la Commissione a fine febbraio/inizio marzo cercava risorse finanziarie per sostenere gli Stati membri nella loro lotta contro il Covid-19, si è trovata con pochissimi margini, dovuti per l’appunto al fatto di essere alla fine del settenato in corso», ha scritto il 20 aprile sul sito della Commissione Ue Nicola De Michelis, direttore per la crescita intelligente e sostenibile presso la Direzione generale politica regionale e urbana della Commissione. «Le uniche risorse disponibili si sono rivelate quelle della politica di coesione e dei suoi fondi strutturali, la cui attuazione è sempre e strutturalmente in ritardo di qualche anno rispetto al resto delle altre politiche e strumenti finanziati dal bilancio europeo».

Da un lato, il Crii (Regolamento Ue 2020/460) ha introdotto alcune misure specifiche per permettere di mobilitare gli investimenti legati ai fondi strutturali nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori.

Per esempio, come misura temporanea, il Fesr potrà sostenere il finanziamento del capitale circolante delle piccole-medie imprese, mentre la priorità d’investimento di questo fondo potrà comprendere le spese in prodotti e servizi legati alla sanità (il 29 maggio Toscana ed Emilia-Romagna sono state le prime regioni a fare ricorso a queste concessioni, per un “reindirizzamento” complessivo pari a circa 30 milioni di euro).

Con Crii, l’Ue ha dato anche la possibilità agli Stati membri di utilizzare i circa 8 miliardi di euro di prefinanziamenti che hanno ricevuto e non speso nel 2019 (circa 850 milioni di euro per l’Italia).

Dall’altro lato, il Crii+ (Regolamento Ue 2020/558) ha introdotto ulteriori novità, per esempio consentendo ai Paesi Ue di richiedere un tasso di cofinanziamento comunitario del 100 per cento (rinunciando quindi al cofinanziamento nazionale, che non viene però sostituito da nuove risorse europee) per finanziare programmi di coesione con spese relative al periodo tra il 1° luglio 2020 e il 30 giugno 2021.

Un’altra possibilità concessa dall’Ue è ora quella di poter trasferire risorse tra i vari fondi, tra i vari settori e tra le varie categorie di regioni, ossia da quelle che ricevono più risorse a quelle che ne ricevono meno.

Calenda dunque fa in particolare riferimento alla possibilità per l’Italia di utilizzare i fondi Ue senza la necessità di cofinanziamento nazionale. Ricordiamo che stiamo parlando non di nuove risorse, ma della riprogrammazione di fondi già a disposizione, che ora possono essere utilizzati con più libertà. Il bilancio 2021-2027 (con i relativi fondi strutturali) è invece ancora in fase di negoziato.

Quanto vale questa maggiore flessibilità sui fondi concessa dall’Ue al nostro Paese?

Da dove vengono i 6,7 miliardi di euro

Ad oggi non è possibile conoscere nel dettaglio quante sono le risorse dei fondi Ue che l’Italia potrebbe usare con più flessibilità per l’emergenza coronavirus. Da un lato perché la macchina dei fondi strutturali è molto complessa e ci sono bandi di gara che magari sono stati lanciati ma non sono ancora conteggiati nei numeri ufficiali. Dall’altro lato, come ha sottolineato Calenda a DiMartedì, perché è ancora in corso una trattativa su questi fondi tra lo Stato e le regioni. Come ordine di grandezza, però, il leader di Azione riporta una cifra attendibile.

Ma procediamo con ordine. Di quali risorse e per quali programmi stiamo parlando?

La base dell’intervento dell’Ue è stata questa: «Vediamo a che punto sono i programmi finanziati dall’Europa, i programmi dei fondi strutturali e della politica di coesione, vediamo quante di quelle risorse all’interno dei programmi non sono ancora state aggiudicate e non sono ancora state impegnate in progetti precisi e quantifichiamo quelle risorse e mettiamole a disposizione, se gli Stati membri e le regioni decidono in quel senso, dell’emergenza», ha spiegato all’Ansa il 29 aprile il direttore De Michelis(min. -27:50).

Secondo alcune stime riportate nelle scorse settimane da Ansa e da Il Sole 24 Ore, la “piena flessibilità” dell’Ue sui fondi garantirebbe al nostro Paese risorse per 6,7 miliardi di euro – la cifra indicata da Calenda – che comprendono 5,3 miliardi di euro non impegnati e 1,4 di risorse programmate per gli anni scorsi. Questi 6,7 miliardi potrebbero salire a 10 miliardi se fosse confermato il cofinanziamento nazionale.

«Queste sono delle possibilità – aveva anticipato (min. -18:28) il 29 aprile De Michelis all’Ansa – che sono offerte agli Stati membri. Come potete immaginare, in Italia come altrove, ci sono poi tutta una serie di valutazioni politiche in relazioni interistituzionali che entrano in gioco per definire cosa si possa effettivamente fare».

E infatti, come ha confermato a Pagella Politica l’Agenzia per la coesione territoriale (che monitora le politiche di coesione del nostro Paese), agli inizi di giugno sono ancora in corso le trattative tra lo Stato e le amministrazioni che si occupano della gestione dei fondi (per esempio per capire da quali priorità spostare i soldi su altre iniziative).

«I negoziati bilaterali sono effettivamente in corso, ci sono incontri con le amministrazioni regionali e con le amministrazioni nazionali. Si sta raccogliendo la disponibilità da parte delle amministrazioni di riprogrammare una parte delle risorse per l’emergenza», ha sottolineato (min. 3:01:16) il 4 giugno in audizione alla Commissione Politiche Ue della Camera Massimo Sabatini, direttore dell’Agenzia per la coesione territoriale, ricordando anche quanto detto dal ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano in un’audizione informale al Senato del 19 maggio scorso.

In quell’occasione, Provenzano ha riportato (min. 44:17) dei «dati non ufficiali, che non sono ancora stati sanciti da vere e proprie intese» sull’avanzamento degli incontri, lamentandosi «che ci aspettavamo molto di più dalle amministrazioni regionali».

«Su un complesso di risorse riprogrammabili di circa 10 miliardi sull’emergenza [che tengono conto anche del cofinanziamento, ndr], siamo fermi a circa 3,8-4 miliardi per le amministrazioni regionali, da cui ci aspettavamo di arrivare fino a 7, e invece sulle amministrazioni centrali [qui una lista, ndr] siamo andati oltre le nostre aspettative: avevamo preventivato un ammontare di circa 3 miliardi di risorse riprogrammabili, e siamo già a 4», ha detto Provenzano in audizione.

Ricapitolando: i 6,7 miliardi di euro di cui parla Calenda sono una stima dei fondi Ue che potrebbero essere riutilizzati (anche senza cofinanziamento) grazie alla maggiore flessibilità comunitaria, ma che per il momento sono ancora oggetto di una trattativa – «parcheggiati», citando l’espressione usata dal leader di Azione – tra Stato e regioni.

Al momento, però, non è possibile avere una cifra definitiva, anche se diverse fonti confermano l’ordine di grandezza indicato da Calenda.

Il verdetto

Secondo Carlo Calenda, l’Italia ha «“parcheggiati” 6,7 miliardi di fondi europei senza cofinanziamento», che potrebbe usare per l’emergenza coronavirus. Abbiamo verificato e il leader di Azione ha sostanzialmente ragione.

Il dato è una stima riportata nelle ultime settimane da diverse fonti sulla quantità di risorse tra i fondi comunitari che l’Italia potrebbe riprogrammare, senza cofinanziamento nazionale, grazie alla maggiore flessibilità concessa, tra marzo e aprile, dall’Ue.

Il problema è che la riprogrammazione di queste risorse – di cui ancora non è possibile avere un numero preciso – sono attualmente ancora oggetto di trattativa tra lo Stato e le amministrazioni, centrali o regionali, che le gestiscono. In conclusione, “Vero” per Calenda.