Aggiornamento di lunedì 18 maggio, in fondo all’articolo


Il deputato della Lega Claudio Borghi ha scritto su Twitter il 13 maggio che «Portogallo, Spagna e Grecia hanno detto NO al MES».

Borghi sta facendo riferimento in particolare al nuovo strumento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il Pandemic Crisis Support, di cui abbiamo parlato in una nostra recente analisi, e che ha lo scopo di prestare soldi agli Stati dell’area euro con l’unica condizione esplicita che questi vengano usati per sostenere la spesa sanitaria collegata, direttamente o indirettamente, all’epidemia di Covid-19.

In teoria, i tre Paesi citati da Borghi potrebbero avere in prestito una cifra fino al 2 per cento del proprio Pil nel 2019. Cioè circa 25 miliardi di euro per Madrid, poco più di 4,2 miliardi per Lisbona e circa 3,7 miliardi per Atene (per l’Italia, come abbiamo scritto, si tratterebbe di quasi 36 miliardi).

Ma davvero i tre Paesi citati dal deputato leghista hanno già detto di non volersi avvalere di questo strumento?

Abbiamo verificato, contattando anche i nostri colleghi fact-checker stranieri, e Borghi ha sostanzialmente ragione.

Andiamo a vedere i dettagli.

Cosa è stato detto in Portogallo

In Portogallo, come ci hanno riferito i nostri colleghi della sezione di fact-checking del quotidiano online Observador, il governo ha accolto con favore la nascita del nuovo strumento del Mes privo di condizionalità, ma ha escluso al momento di farvi ricorso.

Il motivo, come ha spiegato l’8 maggio il segretario alle Finanze Ricardo Mourinho Félix (numero due del ministro Mário Centeno, che tra l’altro è anche il presidente dell’Eurogruppo), è che «le linee precauzionali sono destinate a situazioni in cui i Paesi incontrano difficoltà finanziarie nei mercati»: mentre il Portogallo, «grazie all’aggiustamento [dei bilanci pubblici n.d.r.] effettuato negli ultimi anni (…), ha in questo momento condizioni di accesso al mercato regolari e persino molto favorevole, e quindi, in questo momento, non sembra che l’uso di questa linea di credito abbia senso».

Di qui la decisione di non ricorrere, al momento, al nuovo strumento del Mes, pur non escludendo la possibilità di farlo in futuro.

La posizione della Spagna

In Spagna c’è una situazione simile a quella portoghese. La ministra delle Finanze spagnola María Jesús Montero l’8 maggio ha infatti dichiarato:«Ci sembra positivo che esista lo strumento Mes, ma in questo momento il governo sta trovando una buona accoglienza nei mercati del debito».

Dunque almeno per ora sembra che la Spagna non abbia intenzione di fare ricorso ai prestiti del Pandemic Crisis Support, come sostiene Borghi, anche se il suo “no” è meno netto di quanto non lasci intendere il deputato della Lega.

Come ci hanno confermato infatti i nostri colleghi spagnoli di Maldita e di Newtral una posizione ufficiale di rifiuto esplicito del nuovo strumento del Mes al momento non è ancora stata adottata dal governo di Madrid.

La situazione in Grecia

I nostri colleghi di Ellinika Hoaxes, sito di fact-checking greco, ci hanno comunicato che anche se non c’è stato un rifiuto ufficiale di utilizzare il Pandemic Crisis Support del Mes, definito dal governo come il risultato di un «ottimo accordo», è vero che al momento non si voglia farvi ricorso.

In particolare il ministro delle Finanze Christos Staikouras ha dichiarato il 9 maggio che «in base ai dati attuali non abbiamo bisogno di ricorrere ai prestiti».

Secondo un retroscena segnalato da Ellinika Hoaxes, Atene vorrebbe evitare in particolare di essere il primo Paese a chiedere un prestito tramite questo strumento, preferendo invece ricorrere all’emissione di titoli del debito pubblico, per il timore che un’eventuale richiesta venga vista dai mercati come un segnale di debolezza.

Ma, considerato che per la Grecia (come per l’Italia), il ricorso ai titoli di Stato è più costoso in termini di interessi che non chiedere un prestito con il nuovo strumento del Mes, secondo lo stesso retroscena il governo greco starebbe solo aspettando che sia l’Italia a fare la prima mossa, per poi mettersi in scia. Questa stessa ricostruzione ci è stata confermata anche da Irene Andriopoulou, ricercatrice e analista del National Centre of Audiovisual Media and Communication greco (Ekome Sa).

Il verdetto

Il deputato della Lega Claudio Borghi ha scritto il 13 maggio su Twitter che Portogallo, Spagna e Grecia «hanno detto no» al nuovo strumento del Mes pensato per aiutare gli Stati a fronteggiare la crisi causata dall’epidemia di coronavirus.

Borghi ha sostanzialmente ragione anche se non per tutti si tratta di un “no” categorico e definitivo.

Da quel che risulta dalle fonti di stampa locali, e soprattutto in base a quello che ci hanno riferito i nostri colleghi stranieri, in tutti e tre i Paesi l’esistenza del nuovo strumento di per sé è stata accolta con favore. È poi vero che non vi si vuole ricorrere in questo momento, considerati i tassi di finanziamento del debito pubblico (buoni o comunque accettabili) sui mercati, ma in alcuni casi non si esclude di farlo in futuro.

In conclusione, per Borghi un “C’eri quasi”.

Aggiornamento di lunedì 18 maggio 2020

Sulla stessa questione si è espresso anche il leader della Lega, Matteo Salvini, che in un video diffuso su Twitter il 17 maggio ha aggiunto (min. 0.22) all’elenco dei Paesi che avrebbero detto no al Mes anche la Francia.

Con le precisazioni già fatte per gli altri Paesi, per cui questo “no” va circoscritto alla mancata intenzione di usare adesso il nuovo strumento del Mes e non si tratta invece di una generica contrarietà alla creazione del Pandemic Crisis Support, anzi, anche questa aggiunta è corretta.

Come riportano la Reutersin un lancio del 14 maggio, a le Figarò in un articolo del giorno successivo, la Francia non intende utilizzare per il momento questo strumento. Quindi anche per Salvini, come già per Borghi, un “C’eri quasi”.