In un’intervista con La Stampa del 24 febbraio, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha dichiarato a proposito del nuovo coronavirus che «anche in questo caso l’Unione europea non esiste. Non c’è un protocollo sanitario comune, procederemo in ordine sparso e saremo indifesi con le frontiere aperte». Secondo Meloni insomma è lecito chiedersi a che cosa serva questa Europa se in un momento cruciale come questo non è in grado di imporre una linea comune.

L’accusa di Meloni, che pure contiene una base fattuale in parte vera, è decisamente esagerata. Se le cose stanno così è in larga parte perché le competenze in materia di sanità è soprattutto degli Stati. Vediamo meglio i dettagli.

Che cosa ha fatto la Ue nel contrasto al coronavirus

Come hanno chiarito in una conferenza stampa il 24 febbraio Janez Lenarčič (commissario alla Gestione delle crisi) e Stella Kyriakides (commissaria alla Sanità), l’Unione europea sta seguendo da vicino la vicenda del nuovo coronavirus da diversi giorni. Ad esempio già a metà febbraio era stato raccomandato (min. 1.30) agli Stati membri di rafforzare le misure di pronta risposta.

Durante la conferenza stampa è poi stato annunciato (min. 4.00) lo stanziamento di più di 230 milioni di euro per sostenere le misure di contenimento e prevenzione, la ricerca e la risposta degli Stati membri, nonché l’eventuale rimpatrio di cittadini europei a rischio all’estero.

Inoltre fin dai primi giorni della crisi è attivo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), con funzioni di monitoraggio, assistenza e coordinamento con gli Stati membri. I suoi tecnici – insieme a quelli dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – arriveranno (min.7.28) in Italia il 25 febbraio.

I poteri (limitati) di intervento della Ue

È vero, come afferma Meloni, che non ci sia un protocollo sanitario comune nella Ue, e che le frontiere non siano state generalmente chiuse. L’assenza di un protocollo comune tuttavia dipende dal fatto che gli Stati membri non hanno delegato all’Unione europea le competenze in materia sanitaria, che rimangono di competenza esclusiva degli Stati. Bruxelles può avanzare dei suggerimenti, ma non può imporre nessuna specifica decisione.

Più nel dettaglio, la Ue può, in base all’articolo 168 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), agire in maniera complementare rispetto agli Stati, fornendo assistenza economica, operativa e di coordinamento. Cosa che, come appunto riportato dai commissari competenti, sta facendo.

Inoltre anche l’eventuale decisione di reintrodurre i controlli alle frontiere, sospendendo l’accordo di Schengen, è di competenza degli Stati e non dell’Unione europea.

Il verdetto

Meloni ha accusato l’Unione europea di essere «inesistente» nella gestione del nuovo coronavirus, lamentando l’assenza di un protocollo comune a livello europeo e il fatto che le frontiere restino aperte.

L’accusa di inesistenza è esagerata: l’Unione europea si sta muovendo sul tema del virus promuovendo il coordinamento tra Stati, fornendo loro assistenza, monitorando la situazione e stanziando risorse.

È poi vero che manchi un protocollo comune, ma questo dipende dal fatto che gli Stati non hanno devoluto la competenza in materia sanitaria alla Ue che, dunque, ha solo funzioni complementari rispetto a quelle degli Stati membri. Allo stesso modo la decisione di sospendere l’accordo di Schengen e di reintrodurre i controlli alle frontiere è di competenza statale e non comunitaria. Insomma: quanto dice Meloni è in parte vero, ma non dipende dall’inazione dell’Ue quanto dal modo in cui le competenze in materia di sanità sono divise tra Stati e istituzioni comunitarie. Nel complesso per Meloni un “Nì”.