Il 13 luglio, l’europarlamentare del Partito democratico Carlo Calenda ha criticato su Twitter il ministro dell’Interno Matteo Salvini per la questione dei rimpatri e un suo nuovo attacco a Carola Rackete, la capitana della nave Ong Sea-Watch 3.

L’ex ministro dello Sviluppo economico, in particolare, ha scritto che è uscito «il dato sul crollo dei rimpatri. L’Italia fa peggio della Grecia, calano del 25 per cento».

Ma è davvero così? Abbiamo verificato.

Di che cosa stiamo parlando

Generalmente, quando si parla di “rimpatri” si fa riferimento all’allontanamento dall’Italia di cittadini stranieri, ma il quadro legale in questo ambito è in realtà molto complesso.

Semplificando: dopo la comunicazione del provvedimento di espulsione lo straniero – senza un regolare permesso di soggiorno, o ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico o per la sicurezza collettiva – è obbligato a lasciare l’Italia in due modi.

Il “rimpatrio volontario”, ossia la partenza con mezzi propri (o assistita con fondi speciali), dovrebbe essere la via preferenziale secondo le direttive europee. Altrimenti, viene attuato il “rimpatrio forzato”, che di fatto consiste nell’accompagnamento coatto al Paese di origine, per esempio con voli aerei.

Che cosa dicono i numeri

Il Ministero dell’Interno non rende pubblici i dati sulle varie categorie di rimpatrio.

Il 12 luglio l’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat) ha però pubblicato una serie di dati relativi al 2018 – anno in cui è stato ministro dell’Interno per cinque mesi Marco Minniti, mentre Matteo Salvini ricopre l’incarico dal primo giugno – che mostrano i risultati dell’applicazione delle leggi in tema di immigrazione nei Paesi membri dell’Unione europea.

Tra le altre cose, queste statistiche dicono quanti stranieri sono stati trovati a vivere nell’Ue senza un regolare permesso di soggiorno e quanti sono stati invitati a lasciare il continente [1].

Secondo Eurostat – la cui fonte dei dati sono le autorità italiane stesse [2] – nel 2018 dall’Italia, tra rimpatri volontari e forzati, sono ritornati nei loro Paesi di origine 5.615 persone: 435 con mezzi propri, mentre i restanti 5.180 in maniera coatta.

Se si guarda al dato in generale, nel 2017 le persone rimandate dall’Italia nei loro Paesi di origine erano state 7.045, circa il 20 per cento in più rispetto al 2018.

Se si guarda invece al singolo dato dei rimpatri forzati, il numero del 2018 è maggiore di quello di due anni fa, quando gli accompagnamenti coatti nei Paesi di origine dal nostro Paese erano stati 4.935, quasi il 5 per cento in meno.

Il calo del «25 per cento» citato da Calenda fa però probabilmente riferimento a un’altra statistica ancora, ossia a quella relativa al numero di stranieri a cui è stato ordinato di lasciare l’Italia. Nel 2018, questo dato era di 27.070 persone, il 25,3 per cento in meno rispetto ai 36.240 del 2017.

Qui però si sta parlando di “ordini di espulsione”, e non di rimpatri effettivamente avvenuti: una confusione che ha tratto in inganno anche alcuni quotidiani, come Il Giornale, che il 13 luglio ha pubblicato un articolo dal titolo: «Crollo delle espulsioni. Via il 25,3 per cento in meno».

Dunque Calenda è impreciso nell’associare il 25 per cento ai rimpatri, e non agli ordini di espulsione (che vengano eseguiti o meno), ma arriva comunque vicino alla realtà se consideriamo che i rimpatri – coatti o volontari – nel complesso sono calati del 20 per cento circa dal 2017 al 2018.

E gli altri Stati Ue?

Abbiamo visto che l’anno scorso in Italia il numero delle persone ritornate nei propri Paesi di origine – con rimpatri volontari e forzati – è diminuito di circa il 20 per cento rispetto al 2017, mentre il numero dei ritorni coatti è leggermente cresciuto, di 245 unità (+4,7 per cento, per la precisione).

Ma come si posiziona il nostro Paese rispetto agli altri Stati membri?

Per quanto riguarda il numero totale di stranieri rimandati nel loro Paese di origine, nel 2018 l’Italia si classifica come sesta, dietro a Polonia (25.715), Francia (17.935), Spagna (12.560), Grecia (12.490), Austria (7.405) e Svezia (6.850).

Il numero così elevato della Polonia è dovuto però ai rimpatri volontari, che l’anno scorso hanno pesato per il 95,5 per cento sul totale, ossia 24.575 su 25.715. Di questi rimpatri volontari, 21.485 (quasi il 90 per cento) provenivano come nazionalità dalle confinanti Ucraina (19.930) e Bielorussia (1.555).

Per quanto riguarda la singola statistica sui rimpatri forzati, secondo i dati dello scorso anno il nostro Paese si classifica come quarto, dietro a Spagna (11.730), Francia (10.820) e Grecia (7.760).

In entrambe le graduatorie, la Grecia citata da Calenda ha numeri più alti dell’Italia.

Il verdetto

Secondo l’ex ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, si è registrato un «crollo dei rimpatri»: facendo «peggio della Grecia», questi sarebbero scesi del «25 per cento».

Il -25 per cento citato dall’europarlamentare del Pd fa riferimento al calo degli ordini di espulsione fatti in Italia nel 2018 (passati da 36.340 del 2017 a 27.070), ai quali però non è necessariamente seguito un rimpatrio di qualche tipo.

Tuttavia è vero che anche nei rimpatri effettivamente eseguiti – volontariamente o con accompagnamento – ci sia stato lo scorso anno un calo di circa il 20 per cento (passati da 7.045 del 2017 a 5.615). Quindi Calenda risulta solo leggermente impreciso.

Se si guarda agli altri Stati Ue, comunque, l’Italia ha raccolto numeri inferiori a quelli della Grecia per quanto riguarda i rimpatri.

Nel 2018, tuttavia, il ministro Salvini – oggetto della critica di Calenda – è stato in carica per sette mesi su dodici. Per i primi cinque mesi era in carica Marco Minniti, collega di governo di Calenda.

In conclusione, l’ex ministro dello Sviluppo economico merita nel complesso un “Nì”.




[1] Tutti i dati sono raccolti in un file Excel, qui consultabile.

[2] Sezione: Data sources.