Il 10 maggio, in un’intervista con il quotidiano La Stampa, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro (M5s) ha dichiarato che con la legge sulla riduzione del numero dei parlamentari, attualmente all’esame di Camera e Senato, l’Italia si avvicinerebbe alla situazione degli «altri Stati europei» e risparmierebbe 500 milioni di euro a legislatura.

È vero? Lo abbiamo verificato.

La proposta di legge

Anche se non è un tema citato spesso nel dibattito politico di questi giorni, sta lentamente procedendo una legge costituzionale per tagliare parecchio il numero dei parlamentari.

Il 9 maggio 2019, infatti, la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura il progetto di legge costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari. Il testo, modificando gli articoli 56 e 57 della Costituzione, prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori elettivi da 315 a 200. In totale, quindi, 345 parlamentari in meno.

Si tratta di una modifica della Costituzione, per cui la proposta seguirà un iter legislativo rinforzato: lo stesso testo deve essere deliberato per due volte da ciascuna Camera. Nella seconda approvazione, ad almeno tre mesi dalla prima, è richiesta la maggioranza assoluta. Se la legge non ottiene i voti di 2/3 dei componenti di Camera e Senato, entro tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, 500.000 elettori, 1/5 dei membri di ciascuna camera o cinque consigli regionali possono richiedere il referendum costituzionale.

Con il voto del 9 maggio alla Camera, il progetto di legge sulla riduzione del numero dei parlamentari ha superato la prima deliberazione. Dovrà ora essere riapprovato da Palazzo Madama, e poi di nuovo da Montecitorio. Solo a quel punto i lavori parlamentari potranno dirsi conclusi. La strada verso l’approvazione definitiva è quindi ancora lunga. Senza considerare l’ipotesi di un referendum costituzionale.

Ma quanto si risparmierebbe con il taglio di 345 parlamentari?

Quanto ci costano i parlamentari?


Partiamo da quanto è la spesa attuale per i parlamentari. Il dato varia, di poco, da Camera e Senato.

Secondo quanto riportato dalla Camera, l’indennità per i deputati si aggira intorno ai 5.000 euro al mese, al netto delle imposte (che dipendono anche dal comune e della regione di residenza). Dunque, la cifra lorda mensile per i deputati è di 10.435 euro, sulla quale «sono effettuate le dovute ritenute previdenziali (pensione e assegno di fine mandato), assistenziali (assistenza sanitaria integrativa) e fiscali (Irpef e addizionali regionali e comunali)». Lo stipendio è inferiore per i deputati che abbiano un altro lavoro (circa 4.750 euro, 9.975 euro lordi).

Le buste paga sono leggermente diverse al Senato. I senatori ricevono mensilmente 10.385,31 euro lordi, 10.064 se svolgano un’attività lavorativa. Il corrispondente netto è tendenzialmente di 5.304 euro, ma può variare a seconda delle imposte locali. La cifra si aggira comunque intorno ai 5.000 euro.

Oltre alle indennità, i parlamentari hanno diritto a rimborsi spese di varia natura.


Sia i deputati che i senatori ricevono una diaria di 3.500 euro per pagare il proprio soggiorno a Roma. Un dettaglio interessante: l’importo viene decurtato di 206,58 euro «per ogni giorno di assenza del deputato dalle sedute dell’Assemblea in cui si svolgono votazioni». Penalizzazione prevista anche per i senatori.

C’è poi un rimborso di quelle che vengono definite «spese per l’esercizio del mandato»: 3.690 euro per i deputati, 4.180 per i senatori. La metà di questi rimborsi è destinata al pagamento di «collaboratori, consulenze, ricerche, gestione dell’ufficio, utilizzo di reti pubbliche di consultazione di dati, convegni e sostegno delle attività politiche» e viene rendicontata, ovvero dev’essere giustificata voce per voce. L’altra metà viene erogata forfetariamente.

Forfettario è anche l’importo mensile corrisposto ai senatori per le spese di viaggio e le spese telefoniche: 1.650 euro. Leggermente diverso a Montecitorio: sempre dal sito, leggiamo che «per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso spese trimestrale pari a 3.323,70 euro, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l’aeroporto più vicino al luogo di residenza, e a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km». Tutti i parlamentari dispongono poi di tessere per la circolazione sulla rete autostradale e i viaggi «aerei, ferroviari, marittimi» all’interno del territorio nazionale. Alla Camera le spese telefoniche costituiscono una voce a parte: 1.200 euro annui per ciascun deputato.

Facciamo due conti

Come abbiamo visto, indennità e rimborsi sono soggetti ad alcune variazioni, caso per caso. Per dirne alcune: le imposte locali a seconda della residenza del parlamentare, la distanza che il politico deve percorrere per arrivare a Roma, il numero di collaboratori di cui dispone.

Per ottenere una media sul costo di un singolo parlamentare, facciamo riferimento ai bilanci di previsione dei due rami del Parlamento per il triennio 2018-2020.

Per questo periodo, la Camera ha messo a bilancio una spesa complessiva di circa 81,2 milioni di euro all’anno per le indennità. Nello stesso periodo, la cifra totale annuale per i rimborsi ammonta a circa 63,6 milioni.

Prendendo in esame il totale dei deputati, risulta una media approssimata di 129.000 euro di indennità e poco più di 100.000 euro di rimborso spese per ciascun deputato all’anno. Ogni deputato costa alla Camera circa 230.000 euro. Dunque, a Montecitorio, riducendo il numero di esponenti da 630 a 400, si risparmierebbero annualmente circa 53 milioni di euro.

Sempre in relazione al triennio 2018-2020, il Senato ha previsto uno stanziamento annuale di circa 43 milioni per le indennità e 37 milioni per i rimborsi. Il costo medio annuale di un singolo senatore è di 249.600 euro, di cui circa 134.000 euro in indennità e 115.600 euro in rimborsi spese. Se tagliassimo 115 senatori, come previsto dalla riforma costituzionale in discussione, il risparmio ammonterebbe a 28,7 milioni di euro all’anno.

Quindi, complessivamente, Camera e Senato, con 345 parlamentari in meno, risparmierebbero ogni anno circa 82 milioni di euro per un totale di circa 408 milioni di euro ogni cinque anni di legislatura.

Ci sono anche altre voci di risparmio?


Il taglio di 345 parlamentari potrebbe comportare anche risparmi indiretti, molto difficili da stimare prima che la riduzione sia effettiva.

Fra questi, si possono ipotizzare: costi minori per i servizi di ristorazione e i materiali di consumo; contributi più bassi ai gruppi parlamentari a cui viene corrisposta una cifra proporzionale al numero di membri; ma soprattutto, sul lungo termine, meno pensioni da pagare.

Contattati da Pagella Politica, la Tesoreria della Camera e la Ragioneria del Senato hanno risposto che non sia possibile, ad oggi, formulare una stima sul costo dei trattamenti pensionistici per le casse di Camera e Senato negli anni a venire. Gli uffici riferiscono che, con l’attuale sistema contributivo, l’importo netto di una pensione parlamentare si aggiri intorno ai 1.000-1.100 euro.

Questa cifra, però, non può essere presa come riferimento perché è in parte composta dai contributi stessi dei parlamentari, versati nel corso della legislatura. Non ci è stato dunque possibile formulare una previsione credibile su quanto risparmierebbe le due Camere se, in futuro, avessero 345 pensioni in meno da pagare.

E nel resto di Europa?


Secondo il ministro Fraccaro, la riforma costituzionale permetterà all’Italia di «allinearsi al resto dell’Europa» per quanto riguarda il numero dei parlamentari. La comparazione è complicata per via delle evidenti differenze negli ordinamenti europei.

Il dossier del Servizio Studi della Camera sul progetto di legge confronta gli Stati membri dell’Ue. I dati sono aggiornati ad ottobre 2018 e provengono dai siti istituzionali dei diversi Parlamenti, dal sito dell’Unione interparlamentare e da Eurostat. Il paragone è meno problematico se si considerano solo le “camere basse”, tutte elettive per via diretta.

Il numero dei deputati viene messo in relazione alla popolazione. Se si guarda agli Stati più popolosi di Europa – Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna – il nostro Paese non risulta, in proporzione, come un’evidente anomalia. L’Italia ha poco più di 60 milioni di abitanti e 630 deputati: questo significa che al momento c’è un deputato ogni 96.000 abitanti circa. Il Regno Unito ha 66 milioni di abitanti e 650 parlamentari alla Camera dei comuni. Il rapporto è quindi di un deputato ogni 101.000 abitanti. La Francia conta 577 deputati per 67 milioni di abitanti, ovvero uno ogni 116.000 francesi. Anche Germania e Spagna hanno un rapporto tra cittadini e deputati superiore rispetto a quello italiano.

Se si considera solo il rapporto deputati/abitanti, ciò che risalta con maggiore evidenza è che, con la riduzione dei componenti della Camera a 400, l’Italia avrebbe il più alto numero di abitanti per deputato in Europa: 151.000 italiani per ognuno dei rappresentanti eletti alla Camera. In altri termini, avrebbe il più basso numero di deputati proporzionalmente alla popolazione.

Solo 12 Paesi dell’Unione europea, oltre l’Italia, hanno una “camera alta”: Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Spagna. Fra questi, solo in Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Spagna i cittadini ne eleggono direttamente i membri.

Per questo, secondo il Servizio Studi della Camera «non è possibile procedere ad un raffronto» fra le “camere alte” «in quanto in gran parte dei casi i componenti […] non sono eletti direttamente dai cittadini e rappresentano istanze di altro tipo» rispetto al ruolo del Senato nell’ordinamento italiano.

Il verdetto

Riccardo Fraccaro ha dichiarato che la legge sulla riduzione del numero dei parlamentari permetterebbe all’Italia di risparmiare 500 milioni di euro a legislatura.

Considerando il numero minore di indennità e rimborsi da pagare, il taglio di 345 fra deputati e senatori porterebbe in effetti un risparmio certo di più di 400 milioni di euro ogni cinque anni. A questi andrebbero ad aggiungersi, sul lungo termine, risparmi indiretti e risparmi sul costo dei trattamenti previdenziali: fattori su cui non è possibile fare una previsione. La cifra fornita dal ministro Fraccaro risulta quindi imprecisa ma, tutto sommato, credibile.

Secondo il ministro M5s, la riforma «allinea l’Italia» agli altri Paesi europei. Questo non è vero. Con 400 membri, la Camera avrebbe il più basso rapporto di deputati per abitanti in Europa. A una prima parte dell’affermazione sostanzialmente vera si accompagna una seconda invece molto più discutibile: Riccardo Fraccaro merita un “Nì”.