L’11 marzo, nella conferenza stampa a margine del Consiglio federale della Lega, Matteo Salvini ha parlato del successo dell’asta avvenuta a ottobre 2018 per l’assegnazione delle frequenze 5G in Italia. Secondo il ministro dell’Interno, il governo Conte è riuscito a incassare il triplo rispetto a quanto previsto dall’esecutivo precedente.

Questa dichiarazione trova riscontro anche in diversi quotidiani che all’epoca avevano commentato la notizia: «Ci si aspettava un incasso di 2,5 miliardi di euro, sono oltre 6,5» (Il Fatto Quotidiano); «6,55 miliardi di euro. Un buon bottino per lo Stato, visto che erano stati previsti 2,5 miliardi di euro» (Il Sole 24 Ore).

Ma si tratta davvero di un risultato eccezionale, che il governo può rivendicare? Abbiamo verificato.

Che cosa è il 5G?

Il 5G è il nuovo standard tecnologico per quanto riguarda la connettività delle reti cellulari. Grazie al 5G, sarà possibile assicurare una maggiore velocità di connessione e minore latenza, ossia una maggiore reattività a connettersi e a rendere disponibili i contenuti online.

Come spiega il Sole 24 Ore, «le reti 5G consentiranno di ottenere una capacità di download di circa 10-50 gigabit con una latenza massima di 1 millisecondo per le comunicazioni mobili e gestiranno in modo distinto diversi livelli di qualità del servizio». Rientrano tra i servizi per i quali l’adozione del 5G è cruciale anche l’estensione della cosiddetta “Internet delle cose”, applicazioni industriali e la tecnologia delle auto senza guidatore. In Italia, questo nuovo standard tecnologico è attivo in via sperimentale dal 2017, con test in alcune zone del Paese.

L’asta per le licenze

La gara per l’assegnazione delle frequenze agli operatori interessati è stata indetta a luglio 2018 dal Ministero dello Sviluppo economico (Mise). Le modalità e l’agenda di assegnazione – responsabilità appunto del Mise – erano state previste dal governo Gentiloni con la legge di Bilancio per il 2018 (art. 1, comma 1026 e comma 1028).

Come stabilito dall’art.1, comma 1045 della legge di Bilancio per il bilancio 2018, dalla gara dovevano essere ottenuti «proventi in misura non inferiore a 2.500 milioni di euro». Insomma, per legge lo Stato non poteva guadagnare dall’asta meno di 2,5 miliardi di euro.

La cifra indicata dal governo Gentiloni non era dunque una previsione o stima di quanto si sarebbe potuto incassare: era il valore minimo che dovevano avere gli incassi della gara.

La legge di Bilancio per il 2018 specificava inoltre che gli introiti dovevano essere poi versati dal 2018 al 2022 entro il 30 settembre di ciascun esercizio finanziario, “spalmati” in modo disuguale: 1.250 milioni di euro per il 2018, 50 milioni di euro per il 2019, 300 milioni di euro per il 2020, 150 milioni di euro per il 2021 e 750 milioni di euro per il 2022.

L’esito della gara

La gara per 14 bande di frequenza, iniziata il 13 settembre 2018 e conclusa il 2 ottobre successivo, ha visto prevalere Vodafone e Tim con quattro lotti a testa, seguita da Iliad con tre (di cui uno per diritto in quanto nuovo entrante nel mercato), Wind-Tre con due lotti e Fastweb con uno.

Come riporta il Ministero dello Sviluppo economico, il totale delle offerte ha raggiunto la cifra di 6,55 miliardi di euro superando «di oltre 4 miliardi l’introito minimo fissato nella legge di Bilancio». Introiti due volte e mezzo più alti del valore minimo indicato dal precedente governo.

Com’era andata l’asta del 4G

Salvini sembra sottintendere, con il suo sarcasmo («i geni che ci hanno preceduto») che quel risultato sia straordinario. Per vedere se lo sia davvero, vediamo il precedente immediato per un caso simile.

Nel 2011, erano stati messi all’asta i diritti d’uso delle frequenze per il 4G, che nella telefonia mobile è lo standard precedente al 5G. A fine settembre di quell’anno erano stati aggiudicati i vincitori, per un incasso per lo Stato di circa 4 miliardi di euro (per la precisione, 3,945 miliardi di euro).

Come nel caso del 5G, la legge di Stabilità per il 2011 (n. 220 del 13 dicembre 2010) aveva previsto un minimo inferiore. Infatti stabiliva che dalle gare derivassero «proventi stimati non inferiori a 2.400 milioni di euro» (art. 1, comma 13). E il risultato dell’asta era stato poi migliore per 1,6 miliardi di euro rispetto al minimo previsto dall’allora governo Berlusconi.

Il verdetto

Matteo Salvini ha dichiarato che l’asta per l’assegnazione del 5G in Italia ha permesso di triplicare gli incassi rispetto a quanto previsto dall’esecutivo Gentiloni. Il leader della Lega riporta però un’informazione vera a metà.

È vero che con l’asta per il 5G si sono raccolte offerte per un valore totale di 6,5 miliardi di euro, ma i 2,5 miliardi di euro indicati dalla legge di Bilancio per il 2018 (una cifra circa due volte e mezzo inferiore) non erano una previsione, come dice Salvini. Questa cifra infatti era stata indicata come introito minimo da prendere in considerazione.

Il risultato, certo ottimo, è comunque simile a quanto ottenuto nel 2011 per la gara delle frequenze 4G: allora il governo Berlusconi fissò il minimo a 2,4 miliardi, per incassarne poi circa quattro. Salvini presenta i risultati dell’asta per il 5G in modo un po’ fuorviante: merita un “Nì”.