Il 25 febbraio, il senatore Gianluigi Paragone ha rivendicato i risultati ottenuti finora dal Movimento 5 stelle. Secondo l’ex conduttore televisivo, il M5s è l’artefice di «otto su dieci dei provvedimenti» realizzati ad oggi dal governo Conte.



Ma è davvero così? Abbiamo verificato.



Di quali provvedimenti si parla?



Con la sua dichiarazione, il senatore del M5s fa probabilmente riferimento a un articolo pubblicato il 23 febbraio 2019 dal sito La Notizia Giornale e condiviso il giorno successivo dal Blog delle stelle, con il titolo “Fact-checking sul governo. Sui 10 maggiori provvedimenti 8 hanno il marchio del Movimento 5 stelle”.



Nello specifico, i provvedimenti di cui si parla sono: la manovra con un deficit/Pil al 2,04 per cento, il reddito di cittadinanza, la “quota 100”, il “decreto Dignità”, il disegno di legge “Spazzacorrotti”, l’abolizione dei vitalizi, il cambio di rotta nella politiche migratorie, la legittima difesa, le riforme costituzionali e i risarcimenti per coloro che sono stati “truffati” dalle banche.



Qualche settimana fa Alessandro Di Battista si è meritato una “Panzana pazzesca” nell’affermare che «su dieci iniziative legislative parlamentari obiettivamente nove provengono dai Cinque stelle». Come vedremo, a Paragone, che rivendica la «firma» del M5s su otto provvedimenti su dieci, va un pochino meglio.



Deficit/Pil al 2,04 per cento



La trattativa tra il governo Conte e l’Unione europea sul rapporto deficit/Pil dell’Italia si è protratta per alcuni mesi. Questo rapporto – secondo quanto dichiarato dagli esponenti del governo a fine settembre 2018 e anche a inizio ottobre scorso – doveva essere al 2,4 per cento per tre anni (2019, 2020 e 2021).



Ma già nella Nota di aggiornamento al Def – datata 27 settembre 2018 ma poi aggiornata in seguito – c’era scritto che «la manovra punta a conseguire un indebitamento netto della PA pari al 2,4 per cento nel 2019, al 2,1 nel 2020 e all’1,8 nel 2021». Dunque il 2,4 per cento rimaneva, ma solo per un anno. La stessa cosa è stata scritta anche nel Documento programmatico di bilancio, inviato a Bruxelles a metà ottobre dello scorso anno.



Il 21 novembre 2018, però, l’Ue ha bocciato la proposta avanzata dal governo italiano, chiedendo la presentazione di una versione “rivista” – fatto mai accaduto a livello europeo da quando sono in vigore le attuali norme sui bilanci, cioè dal 2013. Il governo ha quindi dovuto fare ulteriori concessioni e il 12 dicembre 2018 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha comunicato che il rapporto deficit/Pil sarebbe stato fissato al 2,04 per cento, cifra approvata dall’Unione.



Il “merito” di questo risultato sembra da attribuire al governo in generale, e infatti anche il post sul blog del M5s ne parla sempre come di un merito di Conte o, appunto, del governo.



“Reddito di Cittadinanza”



Quando si parla di reddito di cittadinanza, è scontato associare questa misura al M5s, che ne ha fatto – sia in campagna elettorale che nel corso della scorsa legislatura – uno dei pilastri della propria politica sociale.



Il 28 gennaio 2019, con l’approvazione del decreto legislativo 4/2019, la misura si può considerare un risultato del Movimento. A partire dai primi giorni di marzo 2019 è possibile, per i beneficiari, presentare la domanda per accedere al sussidio economico.



In passato, abbiamo sottolineato come la misura abbia visto, nel tempo, diversi cambiamenti. Rispetto a quanto promesso in campagna elettorale e nel Contratto di governo, la platea di beneficiari e le risorse stanziate sono state ridotte.



Quota 100




Se il reddito di cittadinanza può essere considerata la misura chiave del M5s, “quota 100” è quanto hanno sempre promosso – e promesso – i colleghi di governo della Lega. Il programma elettorale del partito di Matteo Salvini faceva proprio di “quota 100” uno dei pilastri della riforma del sistema pensionistico per superare la precedente riforma Fornero.



La misura, contenuta nel Contratto di governo e finanziata con la legge di Bilancio 2019, è stata concretamente introdotta con il decreto legislativo 4/2019. Grazie a “quota 100”, sarà possibile andare in pensione una volta raggiunti i 62 anni di età e i 38 anni di contributi e, quindi, in anticipo rispetto a quanto previsto con la precedente riforma Fornero.



Anche all’interno del programma elettorale del M5s si faceva riferimento esplicito al «superamento della legge Fornero», con una proposta leggermente differente: “quota 41”. Questa misura permetterebbe di andare in pensione una volta raggiunti i 41 anni di contributi, senza tenere conto di particolari requisiti anagrafici.




Sulle modifiche alle riforme pensionistiche introdotte dal governo Monti, insomma, c’era accordo tra le due forze di governo anche prima dell’alleanza. “Quota 100” in senso stretto, però, era stata già proposta dalla Lega, mentre l’alternativa presentata dal Movimento 5 Stelle era leggermente differente e verrà nel caso introdotta a partire dal 2022-2023 se l’attuale misura risulta efficace.



Ascolta il podcast – Lavoro: Mandare in pensione i vecchi fa assumere i giovani?



“Decreto Dignità”



Il cosiddetto “decreto Dignità” è stata una delle prime misure introdotte dal governo Conte. Il decreto legge 87/2018 è stato infatti approvato lo scorso luglio, convertito in legge con alcune modifiche il 9 agosto e ha tra i primi firmatari lo stesso leader del M5s Luigi Di Maio, che è anche ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico.



La misura ha introdotto una serie di novità in tema di lavoro: il ritorno dei voucher per alcuni settori (come, ad esempio, il turismo e l’agricoltura); l’obbligo di indicare la causale del contratto a termine che supera i dodici mesi; l’impossibilità, nella stessa azienda, per i contratti a tempo determinato di superare il 30 per cento dei contratti a tempo indeterminato; l’estensione, per il 2019 e per il 2020, del bonus del 50 per cento dei contributi per le assunzioni di dipendenti under 35.



In questo caso, sembra aver ragione il M5s a rivendicare il risultato.



“Spazzacorrotti”



Il 18 dicembre 2018 la Camera ha approvato il disegno di legge anticorruzione 1189 (rinominato “Spazzacorrotti”). La legge, voluta dal M5s, vede come primo firmatario il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.



Tra le varie cose, il testo raccoglie alcuni dei punti centrali del programma elettorale del M5s, come il cosiddetto “Daspo per i corrotti”, la riforma della prescrizione (seppure rinviata al 2020), l’inasprimento di alcune pene e l’estensione della possibilità di usare agenti sotto copertura anche per il contrasto dei reati corruttivi.



L’iter del decreto sia stato piuttosto complicato. La maggioranza, infatti, si è trovata in disaccordo sul reato di peculato e su una serie di emendamenti che riguardavano l’attività online dei partiti. Ma è lecito che sia il M5s a rivendicare il risultato.



L’abolizione dei vitalizi



L’abolizione dei vitalizi è stato uno degli impegni presi durante la campagna elettorale dal M5s.



Sul tema, in realtà, ci sono stati diversi interventi negli ultimi anni, anche ad opera dei precedenti governi. A partire dal 2011, grazie a una riforma introdotta dal governo Monti, deputati e senatori non maturano più un vitalizio ma la loro pensione è calcolata con il metodo contributivo. Dunque, quando parliamo di vitalizi pagati dallo Stato, facciamo riferimento solo a quelli distribuiti ad ex deputati e senatori che ne hanno maturato il diritto prima che fosse introdotta l’abolizione.



Il 12 luglio 2018 la Camera ha approvato la delibera proposta dal presidente Roberto Fico che prevede il taglio dei vitalizi degli ex deputati e il ricalcolo in base al metodo contributivo. Il 16 ottobre 2018 il taglio dei vitalizi per gli ex parlamentari è stato approvato anche al Senato.



Restano al momento esclusi, come riconosciuto anche dall’articolo condiviso dal Blog delle stelle, i consiglieri regionali. Con la legge di Bilancio 2019 si è stabilito che le Regioni abbiamo quattro mesi di tempo per rideterminare «la disciplina dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere». Alcune, come la Lombardia, si sono già adeguate in anticipo.



Insomma, i vitalizi per il futuro non esistevano già più e il risparmio economico del provvedimento è molto limitato (si parla di circa 80 milioni l’anno), ma è giusto riconoscere al M5s il ruolo nel realizzare questa misura simbolica.



Sbarchi e immigrazione




Per quanto riguarda l’immigrazione, fino a oggi il principale responsabile delle politiche in questo ambito è stato il ministro dell’Interno Matteo Salvini.



Il “decreto Sicurezza” (d.l. 13/2018) è stato il provvedimento più significativo preso in materia e introduce, tra le altre cose, nuove norme per quanto riguarda la sicurezza pubblica e la gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata.



In tema di immigrazione, sono diversi gli ambiti interessati. Il decreto Sicurezza prevede, infatti, la cancellazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che viene sostituito da un permesso speciale di durata inferiore o da altri permessi per casi specifici; l’allungamento (da 90 a 180 giorni) del tempo massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio; la modifica di accesso ai centri Sprar; la nascita di una lista dei Paesi sicuri di provenienza; la revoca della protezione umanitaria a coloro che rientrano, senza «gravi e comprovati motivi», nel Paese di origine.



È vero che il M5s (e anche il premier Conte) abbia in sostanza reso possibile la linea del ministro dell’Interno, come emerge dal caso Diciotti e dai suoi strascichi giudiziari, ma la responsabilità per la gestione della questione migratoria e degli sbarchi è in primo luogo della Lega.



Ascolta il podcast: Caso Diciotti, come ti salvo il ministro dell’Interno



Legittima difesa



La riforma della legittima difesa è un provvedimento avanzato dalla Lega, come tra l’altro viene riconosciuto dallo stesso Blog delle stelle. Il testo, approvato al Senato il 24 ottobre 2018, è ora in esame alla Camera.



Tra i principali cambiamenti c’è la non punibilità per chi si difende trovandosi in uno stato di «grave turbamento» dato dalla situazione di pericolo in cui si trova (ma, secondo gli esperti – qui e qui, ad esempio – la riforma della legittima difesa in senso stretto non aggiunge niente alla normativa attuale); la possibilità di ottenere la condizionale della pena solo dopo aver integralmente risarcito il danno della persona offesa; l’inasprimento delle pene per il furto, la rapina e la violazione di domicilio; la priorità per determinati processi (come ad esempio, l’omicidio colposo).



Le riforme costituzionali




L’articolo sui risultati del M5s specifica che, nell’ambito delle riforme costituzionali, gli esponenti del Movimento hanno presentato quattro disegni di legge: l’abolizione del Cnel, l’introduzione del referendum propositivo, il taglio dei parlamentari e la riforma della legge elettorale.



Il 7 febbraio 2019 è stato approvato al Senato il testo unificato che prevede il taglio dei parlamentari. Il documento è ora in corso di esame alla Camera.



Per quanto riguarda poi l’introduzione del referendum propositivo, il 21 febbraio 2019 è stata approvata dalla Camera la proposta di modifica dell’articolo 71 della Costituzione il cui esame, però, non è ancora cominciato al Senato. La modifica prevede che, se almeno 500 mila elettori presentano un’iniziativa legislativa popolare, le Camere siano obbligate a esaminarla entro 18 mesi. Superato questo periodo senza aver ottenuto un risultato, la parola tornerebbe ai cittadini.



La Nota di aggiornamento al Def 2018, deliberata dal Consiglio dei ministri il 27 settembre 2018, dedicava spazio al programma di riforme istituzionali che il governo intende attuare. Tra queste, era anche compresa la soppressione del Cnel, che però rimane tuttora nel nostro ordinamento.



Come viene però correttamente specificato dallo stesso articolo condiviso dal Blog delle stelle, solo due delle riforme costituzionali stanno oggi procedendo con il proprio iter. E nessuna delle due può considerarsi pienamente realizzata.



Pur trattandosi quindi di interventi voluti dal M5s, non è possibile a oggi rivendicare alcun risultato in materia.



“Truffati” dalle banche




La legge di Bilancio 2019 ha previsto la nascita di un Fondo indennizzo risparmiatori a favore dei cosiddetti “risparmiatori truffati” da alcune banche italiane (come Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca).



Il fondo è stato dotato di 1,575 miliardi di euro (525 milioni l’anno per il periodo 2019-2021) con la legge di Bilancio 2019, che ha previsto come copertura il fondo “rapporti dormienti”, istituito nel 2008 per raccogliere il denaro dei rapporti bancari per importi superiori a 100 euro che non hanno mostrano alcun movimento negli ultimi dieci anni.



Dunque, benché il risparmio dei cittadini truffati rientri tra i punti del programma elettorale del M5s, la questione viene trattata all’interno della legge di Bilancio e quindi in sede comune, con la Lega. Si tratta per di più di un programma a lungo termine (2019-2021), per il quale è prematuro rivendicare ora dei risultati definitivi.



Inoltre, nonostante il 9 febbraio scorso i due vicepremier Di Maio e Salvini si siano incontrati a Vicenza per confermare il proprio impegno verso i risparmiatori truffati, recentemente sono emersi possibili problemi.



Come infatti ha sottolineato il Sole 24 Ore, il Fondo per i risparmiatori rischia di essere bocciato dall’Unione europea. La Commissione ha infatti «contestato il fatto che la manovra non prevede, come precondizione per essere indennizzati, il riconoscimento della vendita fraudolenta (misselling) da parte di un giudice o di un arbitro». Si aggiunge alle richieste comunitarie anche la necessità di limitare i rimborsi ai soli piccoli investitori, escludendo così clienti professionali ed azionisti.



Il verdetto



Gianluigi Paragone ha dichiarato che, su un totale di dieci provvedimenti realizzati dal governo Conte, otto sono merito del M5s.



In base alle misure citate da un articolo condiviso dal Blog delle stelle – e a cui fa probabilmente riferimento Paragone – solo in quattro casi si può parlare a tutti gli effetti di risultati rivendicabili dal M5s. Nello specifico, si tratta del reddito di cittadinanza, del “decreto Dignità”, del disegno di legge “Spazzacorrotti” e dell’abolizione dei vitalizi (effettuata per gli ex deputati e senatori, ma non per i consiglieri regionali).



La politica sull’immigrazione è invece da attribuire per lo più alla Lega. A questa si aggiunge la legge sulla legittima difesa, che ad oggi non è ancora stata approvata. Stesso discorso vale per le riforme costituzionali: anche se sono rivendibicabili soprattutto dal M5s, non sono ancora entrate in vigore. Nel caso di “quota 100”, la proposta era presente nel programma della Lega, mentre il M5s aveva in mente un provvedimento leggermente diverso (“quota 41”).



Per quanto riguarda poi il rapporto deficit/Pil al 2,04 per cento e il risarcimento per coloro che sono stati truffati dalle banche, il merito è da attribuirsi all’intero esecutivo.



In conclusione, il senatore Paragone merita un “Nì”.