Il 12 febbraio Silvio Berlusconi, ospite a Pomeriggio Cinque su Canale 5, ha criticato le politiche fino ad oggi intraprese dal nuovo governo, elencando alcuni rischi futuri per l’Italia.

Secondo l’ex presidente del Consiglio, in particolare, se fosse bloccata la Tav Torino-Lione si perderebbero (min. 01:05) «50 mila posti di lavoro». Una cifra riportata negli stessi giorni, tra gli altri, anche dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.

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Del tema si è tornato a parlare dopo la pubblicazione, il 12 febbraio 2019, dell’analisi costi-benefici commissionata dal Ministero delle Infrastrutture del governo Conte: in essa si conclude che la Tav causerebbe perdite per lo Stato tra i 6 e gli 8 miliardi di euro. Ora il governo deve decidere se proseguire o meno i lavori.

Ma il numero di Berlusconi sull’occupazione è corretto? Abbiamo verificato i dati ufficiali.

Di che occupazione stiamo parlando?

Quando si parla di occupazione per le grandi opere, e nello specifico per la Tav, vanno tenute separate due tipologie di occupati: quelli diretti – ossia i lavoratori direttamente impegnati nei cantieri e nella realizzazione dell’infrastruttura – e quelli indiretti – ossia i posti di lavoro che si creerebbero per le aziende italiane, in caso di benefici all’economia locale e nazionale.

Sull’occupazione diretta della Torino-Lione ci sono dati precisi e aggiornati, che sono forniti dal promotore pubblico Telt, responsabile della realizzazione della sezione transfrontaliera della linea. Qui si stanno concentrando i lavori per lo scavo delle opere connesse al tunnel di base del Moncenisio (che da progetto avrà due canne, e sarà lungo 57,5 km).

Le cifre sull’occupazione indiretta, come vedremo, fanno invece per lo più riferimento a stime, con un certo margine di incertezza, dovuta alla difficoltà di calcolare con precisione i settori produttivi che beneficeranno della nuova opera.

Quante persone sono impegnate nei cantieri?

Ad oggi, secondo i dati Telt di gennaio 2019, «è stato scavato oltre il 15,5 per cento delle gallerie previste per l’opera (tunnel geognostici, sondaggi, discenderie, ecc.)». Su un totale di circa 160 chilometri, si tratta di oltre 25 chilometri già realizzati.

L’unico scavo principale in corso riguarda il tunnel geognostico di Saint-Martin-La-Porte, sul lato francese, di cui sono stati scavati circa 6,6 km sui 9 complessivi. Questa galleria è nell’asse e nel diametro del tunnel di base: questo significa che se la Tav si farà, questo tratto – dopo alcuni interventi – sarà un primo pezzo del tunnel di base vero e proprio.

Come spiega Telt, secondo i dati aggiornati a gennaio 2019, «in totale lavorano all’opera quasi 800 persone di cui circa 530 impegnate nei cantieri e circa 250 tra società di servizi e ingegneria. Nel picco delle attività saranno 4.000 i lavoratori diretti e altrettanti quelli generati nell’indotto». Nel cantiere di Saint-Martin-La-Porte sono impegnate 480 persone, tra il raggruppamento di imprese, appaltatori e sub-appaltatori.

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Questi dati sono diversi da quelli stimati dal governo nel 2012. All’epoca infatti si diceva: «Saranno più di 2 mila le persone direttamente impegnate in Italia nella realizzazione della nuova linea; i cantieri indurranno, inoltre, una media di 4 mila occupati indiretti. Le ricadute occupazionali, poi, riguarderanno anche la fase di esercizio della nuova linea Torino-Lione: cinque anni dopo l’entrata in servizio, la nuova linea creerà oltre 500 posti di lavoro in Italia».

La causa del minor numero di occupati (800 rispetto a 2 mila) è da ricercare nel cosiddetto “fasaggio” dell’opera, come confermato anche dalle istituzioni in risposta alle critiche. Nel 2012, infatti, si è deciso di realizzare la Tav per “singole parti”, e non tutta insieme. Si è ridotta così l’entità dell’opera da realizzare di volta in volta e di conseguenza è diminuito proporzionalmente pure il numero degli addetti diretti e indiretti.

Quali sono le altre stime sull’occupazione?

Le cifre ufficiali quindi (circa 8 mila lavoratori, tra diretti e indotti) si discostano molto dalla stima fatta da Berlusconi, che però fa riferimento a un’altra fonte. Il 12 febbraio 2019 il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, criticando il governo, ha detto che la Tav «è una grande occasione per dare lavoro a 50.000 persone. Io l’analisi l’ho già fatta. Ho dato solo un dato e a noi basta».

Questa cifra è il risultato di uno studio pubblicato ad agosto 2018 dal Gruppo Clas Pts Group S.p.a., che si occupa di consulenza e ricerca. Secondo i risultati di questa ricerca, i lavori previsti per la Tav fino al 2030 richiederanno complessivamente «52 mila unità di lavoro» sul lato italiano. Un dato molto simile a quello citato da Berlusconi, e già riportato dai giornali a settembre 2018, in occasione di un convegno di Confindustria a Torino.

Di questi 52 mila, lo studio stima che circa 11 mila lavoratori saranno impiegati nel settore delle costruzioni e oltre 6 mila in quello del commercio (Tabella 1).



Perché dunque l’analisi costi-benefici (Acb) del governo non sembra fare riferimento a questa cifra? Il problema è che lo studio citato da Confindustria è condotto con una particolare metodologia, che mira a calcolare gli «effetti macroeconomici» della Torino-Lione, come il suo impatto sul Pil dell’Italia.

Questi effetti, invece, non vengono calcolati dalle analisi costi-benefici, che come spiega la commissione del Ministero delle Infrastrutture si concentrano sul «surplus sociale netto di un investimento pubblico». Questo significa che un’Acb «valuta il contributo di un progetto al benessere economico complessivo. Lo scopo dell’analisi è quello di stabilire se la società nel suo complesso stia meglio con o senza il progetto», considerando vantaggi e svantaggi per tutti le parti coinvolte (utenti, Stato, aziende, ambiente, eccetera). In sostanza, l’Acb non può focalizzarsi solo sui benefici dei promotori dell’investimento, in questo caso lo Stato.

Gli studi che si concentrano sugli effetti sul Pil e sull’occupazione (e che sono chiamati in letteratura “analisi del valore aggiunto”) hanno una loro utilità perché calcolano, appunto, il valore aggiunto dell’opera rispetto alla spesa, ma a differenza delle Acb escludono dai loro calcoli una parte dei benefici e dei costi per la società nel suo complesso. I loro risultati dipendono inoltre da variabili come l’“effetto moltiplicatore” stimato sulla crescita economica del Paese: più questo è alto, più i risultati risulteranno essere ottimistici.

Ci sono altri numeri?

Da anni, comunque, circolano stime diverse sugli effetti occupazionali della Tav, non limitati solo ai lavoratori diretti.

Per esempio, in un’audizione alla Camera del 2016, l’allora commissario del governo per la Tav Paolo Foietta aveva riportato cifre molto alte per i benefici potenziali sull’occupazione dei progetti transfrontalieri. Secondo Foietta, che citava un rapporto commissionato dalla Commissione europea, ogni miliardo di euro non investito in opere come la Torino-Lione causerebbe la perdita di 44.500 potenziali posti di lavoro.

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Dati ancora diversi sono riportati dai sindacati, come la Cisl, anch’essa favorevole all’opera. L’1 febbraio il segretario generale della Cisl Piemonte Alessio Ferraris ha detto che 50 mila posti di lavoro potrebbero essere creati – non però con la sola Tav, ma con le opere pubbliche bloccate in Piemonte, per un valore di 15 miliardi di euro.

È necessario comunque sottolineare che le motivazioni della costruzione della Torino-Lione, storicamente, non si sono mai basate sul numero degli occupati generati. Per usare le parole dei promotori in un documento del 2012, i posti di lavoro «sono un importante effetto indiretto della messa in esercizio della linea», ma «sono solo una piccola parte dei benefici attesi per l’intero sistema economico piemontese».

Chi sono (e saranno gli assunti)?

Un tema di dibattito riguarda la nazionalità degli occupati attuali e potenziali impegnati per la realizzazione della Tav. Secondo i contrari all’opera, non c’è alcuna garanzia che i centinaia di posti di lavoro previsti dalla Tav siano assegnati a imprese locali, non portando quindi benefici occupazionali effettivi alla Val Susa.

Una parte degli occupati dovrebbe però essere garantita alle comunità locali grazie all’attuazione di due norme: la Démarche Grand Chantier francese e la legge della Regione Piemonte n. 4 del 21 aprile 2011. Entrambi questi provvedimenti promuovono la formazione di figure professionali tra la popolazione locale per la realizzazione della Tav e obbligano le imprese a utilizzare i servizi di vitto e alloggio sul territorio.

Per esempio, tra il 2002 e il 2010, Telt ha stimato che il 50 per cento del personale assunto fosse originario della regione francese Rhône-Alpes e che i circa 500 posti di lavoro creati nel 2016 avesse generatoun indotto di circa un milione di euro per l’alloggio e circa 750 mila euro per il vitto.

Il verdetto

L’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha dichiarato che senza la Tav si perderebbero 50 mila posti di lavoro. La cifra dei lavoratori attualmente impiegata nei cantieri è in realtà molto più bassa (800), così come quella dell’indotto, stimata da Telt intorno ai 4 mila addetti nei periodi futuri di massima attività.

Il dato riportato dal leader di Forza Italia fa riferimento però a uno studio realizzato nel 2018 da una società di consulenza e riportato in diverse occasioni da Confindustria. Questa statistica ha però tre limiti.

In primo luogo, tiene conto degli occupati generati durante gli oltre 10 anni di lavoro, e non quelli creati grazie agli effetti positivi – o negativi – dell’opera. E viste le diverse stime in circolazione, nessuna sembra essere certa.

In secondo luogo, a differenza dell’analisi costi-benefici, esclude dal computo molte perdite (così come effetti positivi) per la società nel suo complesso. Infine, come anche le Acb, è il risultato di un metodo che dipende dalle assunzioni alla base dei calcoli: se si inseriscono effetti moltiplicatori troppo ottimistici, si avranno anche previsioni eccessivamente positive.

In conclusione, Berlusconi merita un Nì.