Durante il confronto televisivo tra Matteo Renzi e Ciriaco De Mita, moderato da Enrico Mentana su La7, il presidente del Consiglio è tornato su una questione ricorrente nel dibattito politico italiano: chi ha le maggiori responsabilità di aver creato il debito pubblico?



Renzi ha accusato “i nostri padri politici degli anni Ottanta”, tra cui di certo il suo interlocutore Ciriaco De Mita – presidente del Consiglio tra l’aprile 1988 e il luglio 1989, segretario della Democrazia Cristiana dal 1982 al 1989 e più volte ministro – e ha detto che le responsabilità maggiori dell’aumento del debito pubblico risalgono a quel decennio.



Poco prima nel corso della trasmissione, infatti, Renzi aveva già citato il decennio degli anni Ottanta, dicendo ancora che in quel periodo l’economia andava bene, ma il debito pubblico era raddoppiato e la pressione fiscale era aumentata. Poco dopo De Mita aveva contestato quella lettura storica, giudicandola “catastrofica”, e puntualizzando a margine che durante il suo governo il debito pubblico non era aumentato.



Dopo la dichiarazione di cui ci stiamo occupando, Renzi ha fatto un invito: “su questo, basta andare a un fact-checking e guardare i numeri”. Lo accogliamo volentieri.



Il debito pubblico italiano



Tra il 1946 e il 1981, il reddito pro-capite degli italiani (in euro del 2011) è cresciuto di oltre sei volte, passando da poco meno di 3.000 a 18.202 euro. Nel decennio successivo la crescita è continuata, anche se a ritmi nella media meno sostenuti, raggiungendo i 23.588 euro nel 1994.



Che cosa è successo, nel frattempo, al debito pubblico? I suoi valori sono stati ricostruiti, mese per mese e a partire dal 1861, da Manuela Francese e Angelo Pace in una pubblicazione della Banca d’Italia del 2008. Nelle tavole allegate, il debito pubblico è presentato in termini assoluti e non in percentuale del PIL: tuttavia, all’interno della pubblicazione gli autori presentano un grafico che mostra proprio il rapporto debito/PIL dall’unità ad oggi (il calcolo è particolarmente delicato per gli anni fino alla Prima guerra mondiale, per motivi che non ci interessano qui).






Fonte: M. Francese-A. Pace, Il debito pubblico italiano dall’Unità a oggi, 2008, p. 20



Possiamo ottenere da un’altra fonte i valori per i singoli anni: una storia economica d’Italia molto recente, cioè quella pubblicata da Emanuele Felice nel 2015 con il titolo Ascesa e declino (Il Mulino). Il professor Felice, basandosi anche sulla ricostruzione storica che abbiamo appena citato, ha pubblicato le stime del rapporto debito-PIL per gli anni che ci interessano nell’Appendice statistica online del libro.



I valori riportati da Felice, che arrivano al 2011, confermano quanto appare dal grafico e detto da Renzi per quanto riguarda il periodo 1946-1981. In quel periodo, il rapporto debito/PIL è variato tra il minimo del 25,4 per cento nel 1947 e il massimo del 59,3 per cento nel 1978. Probabilmente Renzi cita come limite il 1981 non a caso, perché l’anno successivo il debito superò per la prima volta il 60 per cento, attestandosi al 62,9 per cento.



La pressione fiscale



Renzi dice che, mentre l’Italia cresceva tra il 1946 e il 1981, la pressione fiscale si manteneva bassa. Per “pressione fiscale” si intende non quanto paga in media il singolo cittadino in percentuale del suo reddito, ma una grandezza delle finanze pubbliche: cioè la somma di quanto incassa lo stato da imposte dirette, indirette e in conto capitale, più i contributi sociali, in rapporto al PIL.



Le serie storiche sulla pressione fiscale dell’ISTAT – disponibili qui – partono dal 1999. Possiamo però utilizzare il database dell’OCSE che registra i dati sulle entrate fiscali statali dal 1965 in avanti. Riassumiamo i risultati nel grafico successivo, confrontandoli anche con i principali paesi UE e con la media OCSE.






Come si vede, la pressione fiscale italiana ha avuto un andamento particolare. Era pienamente nella media OCSE nel 1965, quando era di poco inferiore al 25 per cento, e sensibilmente più bassa rispetto a quella britannica, francese o tedesca.



Per diversi anni è rimasta stabile; poi, a partire dalla fine degli anni Settanta, ha avuto una rapida accelerazione, passando dal 25,3 per cento del 1979, più o meno lo stesso valore di quindici anni prima, al 34,6 per cento del 1988, anno in cui venne superato il Regno Unito – casualmente l’anno dopo un ben più celebre “sorpasso”, quello del PIL italiano nei confronti di quello britannico.



Non si esce vivi dagli anni Ottanta



Come cantavano gli Afterhours, non si esce vivi dagli anni Ottanta. Che cosa è successo in quegli anni al debito pubblico italiano? Lo riportiamo nel grafico successivo, utilizzando la già citata serie di E. Felice (disponibile qui).



graph



Come si vede, il debito pubblico tra il 1981 e il 1994 è passato dal 58,3 al 121,2 per cento: quasi esattamente il doppio. In termini assoluti, secondo la conversione in euro del 2011 fatta da Felice, dai 544.102 milioni del 1981 ai 1.588.818 del 1994 (cioè circa il triplo, dato che nel frattempo era cresciuto anche il PIL).



Per inciso, tra 1988 e 1989 – anni in cui De Mita fu presidente del Consiglio – il rapporto aumentò dal 90,5 al 92,9 per cento: non è chiaro dunque su quali basi dica, durante la trasmissione, che durante il suo governo il debito non aumentò.



Il verdetto



Renzi cita correttamente i dati sul debito pubblico fino al 1994: come dichiara, tra il 1946 e il 1981 esso è rimasto sempre al di sotto del 60 per cento del PIL, mentre successivamente è raddoppiato in meno di quindici anni. Per quanto è possibile verificare, è vero anche che la pressione fiscale era piuttosto bassa fino agli anni Ottanta. “Vero” per il Presidente del Consiglio.