Il governo di Matteo Renzi ha superato, alla fine di gennaio, due distinti voti di sfiducia promossi al Senato dalle opposizioni a causa della vicenda delle banche e in particolare di Banca Etruria. Nell’eNews del 1° febbraio, la newsletter periodica inviata ai suoi sostenitori, il Presidente del Consiglio ha scritto che i numeri dell’opposizione calano ad ogni votazione, “senza che noi facciamo niente”, e ne ha tratto alcune considerazioni sulla solidità e l’efficacia del suo governo. Al di là del giudizio politico, vediamo se i numeri confermano il progressivo ridursi dei voti contrari al governo.



Le votazioni al Senato



Il sito OpenParlamento, che tiene traccia dell’esito di tutte le votazioni parlamentari, ha una sezione dedicata ai “voti chiave”, ovvero quelle “più importanti della legislatura sia per la rilevanza della materia trattata, sia per il valore politico del voto”. Vediamo nella grafica successiva l’esito dei “voti chiave” in Senato degli ultimi sei mesi. Per verificare che le opposizioni siano in calo non utilizziamo il numero assoluto dei voti – che cambia a seconda delle assenze – ma le percentuali dei favorevoli e dei contrari.



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La tendenza dell’opposizione a calare è visibile solo nelle ultime tre votazioni importanti, cioè a partire da quella finale sulla Legge di Stabilità 2016 avvenuta il 22 dicembre dello scorso anno.



I gruppi parlamentari



I soli voti in Aula potrebbero non esser sufficienti per comprendere quello che succede in Senato. Un altro indicatore importante, oltre all’esito dei voti, è quello che riguarda i passaggi tra i vari gruppi parlamentari. Questa legislatura sembra destinata a toccare un record assoluto per quanto riguarda i cambi di schieramento: il più recente è stato quello, alla Camera, di Paola Pinna, inizialmente eletta nel Movimento 5 Stelle e poi passata a Scelta Civica (dopo un periodo nel Misto). Il 9 febbraio è approdata al Partito Democratico.



Al 9 febbraio, secondo i conti di OpenPolis, si sono contati 166 cambi di schieramento al Senato, che hanno interessato 116 eletti. Molti sono passati dai gruppi dell’opposizione a quelli di governo. Per fare un bilancio: nella maggioranza, il gruppo del Pd ha acquistato 7 senatori arrivando a quota 112; il gruppo Ncd-Udc, costituitosi a novembre 2013 proprio in sostegno del governo, ha oggi 32 componenti, per la maggior parte eletti con il Pdl a inizio legislatura.



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Nell’opposizione, invece, il gruppo del M5S ha perso 18 componenti, passando da 53 subito dopo le elezioni ai 35 di oggi. Ancora peggio è andata a Forza Italia, che oggi è meno della metà della sua composizione iniziale (quando ancora si chiamava Pdl): fermo a 41 membri, ne ha persi 49 dall’inizio della XVII legislatura. Anche la Lega Nord ha perso pezzi, cinque senatori dei 17 iniziali.



Tutto questo, naturalmente, si vede nei numeri delle votazioni, anche se non in modo così chiaro come dice Renzi. Per esempio, il 24 febbraio 2014 il governo Renzi si insediò con la fiducia di 169 senatori e 139 voti contrari. Quasi due anni più tardi, le mozioni di sfiducia presentate dalle opposizioni il 27 gennaio sono state respinte rispettivamente da 178 e 176 senatori: più di quelli che avevano appoggiato il governo alla sua nascita.



Il verdetto



Renzi scrive che con il passare del tempo è chiara una tendenza dell’opposizione a “perdere pezzi”. Come abbiamo visto, la tendenza non è evidentissima nei voti parlamentari, ma diventa più chiara se si considerano i passaggi tra i gruppi. “C’eri quasi” per il Presidente del Consiglio.