Poco dopo le elezioni politiche in Spagna, l’ex deputato Pd Pippo Civati ha criticato la nuova legge elettorale italiana approvata nel maggio 2015, il cosiddetto “Italicum”. Civati ha detto – e lo ha scritto anche in un post del suo blog – che il problema principale della legge è la sua scarsa rappresentatività, perché con una percentuale relativamente bassa di voti assegna la maggioranza dei seggi. Ha citato come termini di confronti il “Porcellum”, cioè la precedente legge elettorale approvata nel 2005, e la legge Acerbo del 1923. Vediamo se le cose stanno come dice l’attuale leader di Possibile.



Che cosa prevede l’Italicum



Il cosiddetto Italicum (qui il testo) regola solo l’elezione della Camera dei deputati, mentre funzioni e composizione del Senato sono attualmente oggetto di modifica tramite riforma costituzionale. L’Italicum, cioè la legge n. 52 del 6 maggio 2015, prevede all’articolo 1, comma i la sua applicazione a partire dalle elezioni successive al 1° luglio 2016.



Con la nuova legge elettorale, alla lista che ottiene il 40% dei voti vengono assegnati 340 deputati, 24 in più della maggioranza assoluta (che è di 316 deputati su 630). Se nessuna lista ottiene il 40% dei voti, invece, i 340 seggi vengono assegnati a “quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti”.



È quindi assolutamente possibile, come dice Civati, che i 340 seggi vengano assegnati a una lista che, al primo turno, abbia ottenuto meno del 30% dei voti. Se prendiamo, per esempio, i risultati delle elezioni politiche del 2013, la coalizione di centrosinistra raggiunse il 29,5% dei voti, poco sopra il 29,1% della coalizione di centrodestra (il M5S raccolse il 25,5%). In una situazione simile, con il nuovo Italicum si andrebbe al ballottaggio tra due forze politiche con meno del 30% dei consensi.



Il Porcellum



L’Italicum prende il posto del “Porcellum”, la legge elettorale voluta nel 2005 dall’allora governo di centrodestra. Il Porcellum (legge n. 270 del 21 dicembre 2005) aveva come primo firmatario il leghista Roberto Calderoli, ministro delle Riforme, che sei mesi dopo l’approvazione lo definì “una porcata” – da cui il soprannome. Alla Camera, il Porcellum prevedeva che il premio di maggioranza di 340 seggi – lo stesso stabilito dall’Italicum – venisse assegnato alla coalizione con il maggior numero di voti, senza nessuna soglia minima. Dunque anche con meno del 30%, come dice Civati.



Per quanto riguarda il Senato, invece, le cose sono più complesse. I premi di maggioranza sono assegnati su base regionale, e quindi non è facile stabilire quale sia la soglia minima per avere la maggioranza anche lì. È teoricamente possibile che la ottenga una coalizione con meno del 30% dei voti: ci vorrebbe una serie di vittorie di misura in gran parte delle regioni chiave, per ottenere i singoli premi di maggioranza che ammontano al 55% dei seggi assegnati ad ogni regione.



Ma le elezioni con cui si è votato con il Porcellum hanno sempre mostrato uno scenario diverso. Nel 2006, ad esempio, l’Unione ottenne il 48,9% dei voti al Senato, che si tradusse in una piccola maggioranza di tre senatori, pur avendo preso circa 200.000 voti in meno del centrodestra a livello nazionale (fu determinante il voto all’estero). Come mostrò la successiva esperienza del governo Prodi, nonostante l’alta percentuale a livello nazionale “governare da solo” si rivelò molto difficile.



Nel 2013, la coalizione di centrosinistra prese il 31,6% dei voti e 113 seggi, poco più di un terzo dei 315 totali; il centrodestra il 30,7% e 116 seggi; il M5S il 23,8% e 54 seggi. In questo caso, il Porcellum produsse di fatto maggioranze diverse tra la Camera – dove il centrosinistra aveva un’ampia maggioranza, grazie al premio – e il Senato, rendendo necessarie le “larghe intese” centrosinistra-centrodestra che portarono al governo Letta. Il partito che aveva di poco superato il 30%, in questo caso, era ben lontano dal poter “governare da solo”.



Riassumendo: con il Porcellum, mentre alla Camera era assolutamente possibile una larga maggioranza con meno del 30% dei voti, questo era assai più difficile al Senato, a causa dei premi di maggioranza regionali. Il 4 dicembre 2013, comunque, la Corte Costituzionale ha bocciato due aspetti essenziali della legge, e cioè il premio di maggioranza e le liste bloccate, senza possibilità di esprimere preferenze.



La legge Acerbo



La legge Acerbo del 1923 (n. 2.444 del 18 novembre 1923) venne approvata pochi mesi dopo la marcia su Roma, che diede il via alla dittatura fascista, e risente naturalmente del periodo in cui vide la luce. La legge prendeva il nome dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo, che ne fu l’estensore materiale. Essa prevedeva un collegio unico nazionale. La lista che avesse superato il 25% dei voti avrebbe ottenuto due terzi dei seggi della Camera (il Senato allora non era elettivo).



La legge Acerbo fu utilizzata per una sola tornata elettorale, quella del 6 aprile 1924, in cui le liste collegate al partito fascista, come il cosiddetto “Listone”, ottennero il 64,9% dei voti.



Il verdetto



Civati cita correttamente il meccanismo di base dell’Italicum e della legge Acerbo. Il paragone con il Porcellum è invece meno convincente: quella legge elettorale, per ammissione dei suoi stessi estensori, era pensata appositamente per rendere difficile governare allo schieramento di centrosinistra, anche in caso di consensi prossimi al 50% (come in effetti avvenne nel 2006), grazie al meccanismo dei premi di maggioranza al Senato. “C’eri quasi” per il leader di Possibile.