Ospite di Corriere TV, Alessandro Di Battista ha difeso le posizioni pacifiste del Movimento 5 Stelle dicendo che l’Italia non può vendere armi a Paesi in guerra e che, nel caso dell’Arabia Saudita, questa disposizione legislativa è violata.



La vendita di armi italiane all’Arabia Saudita è tornata di attualità pochi giorni fa, quando il Movimento 5 Stelle ha attaccato il governo in occasione di una spedizione di armi da Cagliari. È una questione delicata che tocca, oltre al nostro ordinamento, anche questioni di diritto internazionale. Vediamo che cosa dicono le leggi.



La legge 185/90



La legge numero 185 del 9 luglio 1990 stabilisce, all’art. 1 comma 6, che l’esportazione di armi dall’Italia è vietata “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Per agire in senso contrario è necessaria una deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere delle Camere.



L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite a cui si fa riferimento riguarda invece il diritto delle nazioni all’autodifesa, o più precisamente “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite”.



Riassumendo, la legge dice che l’Italia non può esportare né far transitare sul suo territorio armi che sono destinate a Paesi in guerra, a meno che si tratti di una guerra di autodifesa. Ci sono diverse altre condizioni stabilite dalla legge per impedire l’export di armamenti, ma per ora ci concentreremo su questo punto specifico chiamato in causa da Di Battista.



L’intervento in Yemen dell’Arabia Saudita



Poco prima della sua dichiarazione, Di Battista aveva ricordato i bombardamenti sauditi in Yemen. Nel 2014 gli Houthi, ribelli separatisti sciiti, si ribellarono contro il governo dello Yemen (Paese a maggioranza sunnita) e arrivarono a prendere il controllo del palazzo presidenziale a Sana’a, causando il crollo del governo.



L’Arabia Saudita, anch’essa a maggioranza sunnita, intervenne con una coalizione di dieci Paesi arabi e lanciò una pesante campagna di bombardamenti aerei il 26 marzo 2015. Anche se l’attenzione internazionale su quanto accade in Yemen è molto calata rispetto agli scorsi mesi, il coinvolgimento militare saudita nel conflitto è tuttora in corso e i ribelli hanno insediato da mesi un “Consiglio rivoluzionario” a Sana’a.



La dichiarazione di guerra



Dal punto di vista del diritto internazionale, un aspetto problematico è che questo intervento è avvenuto senza una dichiarazione formale di guerra da parte dell’Arabia Saudita. D’altra parte, l’Arabia Saudita appoggia e continua a considerare legittimo il presidente ’Abd Rabbih Mansur Hadi, riconosciuto internazionalmente e attualmente in “esilio interno” ad Aden, per cui una dichiarazione di guerra contro lo Yemen sarebbe stata quanto meno contraddittoria.



La mancata dichiarazione di guerra non deve sorprendere anche per un altro motivo: dalla nascita dell’Onu, le dichiarazioni di guerra sono state rarissime. L’articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce infatti che “i membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza” e in sostanza l’adesione all’Onu da parte di tutti o quasi i Paesi del mondo, insieme ai nuovi tipi di conflitto asimmetrico e alle minacce terroristiche, ha creato un grande dibattito nel diritto internazionale sul nuovo statuto della guerra e delle relative convenzioni.



Un comitato parlamentare britannico sulla Costituzione ha notato pochi anni fa che, viste le mutate condizioni internazionali, la dichiarazione di guerra è assai probabilmente diventata “superflua come formale strumento legale internazionale”. Nel diritto internazionale, inoltre, la guerra è considerata uno strumento estremo per risolvere controversie tra Stati, che avviene quindi “tra pari” che si riconoscono reciprocamente legittimità. Questa condizione non si verifica, chiaramente, nelle operazioni armate contro organizzazioni terroristiche o non statuali (come è il caso dell’attuale lotta contro l’Isis e, in modo diverso, della ribellione Houthi in Yemen).



Negli Stati Uniti, ad esempio, il Congresso ha dichiarato formalmente guerra solo 11 volte, l’ultima delle quali nel 1942. Non è stata dichiarata guerra né in Corea né in Vietnam né in Iraq. La stessa assenza di dichiarazioni di guerra dagli anni ’40 si verifica per il Regno Unito. Da quando esiste la Repubblica italiana, essa non ha mai dichiarato lo “stato di guerra” che, secondo l’articolo 78 della Costituzione, deve essere deliberato dalle Camere (l’intervento nei Balcani del 1999, ad esempio, non venne votato dal parlamento).



Il caso dell’Italia



Anche in Italia, come mostra bene questa pubblicazione del Centro Studi per la Pace, il dibattito legale intorno a che cosa sia da considerare “guerra” e che cosa no, nell’ottica della Costituzione e della legislazione vigente, è molto complesso. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha dichiarato (qui dal minuto 2′ 07”) che l’invio di componenti di armi italiane in Arabia Saudita è avvenuto “nel rispetto della legge”.



Tornando allo Yemen, alcuni, come l’associazione Rete Disarmo e Amnesty International, hanno criticato questa posizione sostenendo che l’intervento saudita nel Paese non è stato autorizzato dalle Nazioni Unite e ciò lo rende illegittimo. La questione appare però più complessa di così, perché il 26 marzo 2015 l’Arabia Saudita ha comunicato all’Onu di essere intervenuta su richiesta del presidente yemenita: il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha quindi rilasciato una dichiarazione che è una sostanziale presa d’atto di ciò.



Il verdetto



È vero, come dice Di Battista, che in alcune aree dello Yemen è in atto un conflitto armato tra le forze filo-governative e la ribellione sciita degli Houthi. Come avevamo verificato in quest’altra analisi, l’Italia è tra i primi esportatori di armi in Arabia Saudita, che è pesantemente coinvolta nel conflitto yemenita da molti mesi. Tuttavia, dal punto di vista del diritto è molto complesso stabilire se la legislazione vigente permetta o meno le esportazioni di armi in un caso come questo, e il governo è del parere che sia tutto regolare. Poiché la violazione legale non è per nulla evidente, per noi la dichiarazione di Di Battista è un “Nì”.