Carlo Fusaro, già professore di diritto elettorale e parlamentare dell’Università degli studi di Firenze, e con un passato politico nel Partito repubblicano, è tra i giuristi che si sono espressi a favore del taglio dei parlamentari, oggetto di referendum confermativo il prossimo 20 e 21 settembre.
«Non vedo ragioni per votare “no”», ha dichiarato Fusaro contattato da Pagella Politica. «È una riforma modesta, limitata, che si limita a fare quello che è stato proposto per 40 anni da quasi tutte le forze politiche. La riduzione dei parlamentari è infatti stata approvata per 13 volte dal Parlamento italiano, di cui quattro durante l’ultima legislatura e nell’ultima votazione c’è addirittura stato il voto unanime di tutte le forze parlamentari, tranne +Europa. Il referendum, secondo me, a fronte di un consenso quasi plebiscitario tra i partiti nel voler snellire il Parlamento nemmeno si sarebbe dovuto tenere».
Ma perché sostenere questa riduzione? Quali esigenze vengono soddisfatte dal taglio dei parlamentari?
In primo luogo è un bene che la classe politica parlamentare sia più contenuta, le Camere sono troppo numerose. Ad oggi in Italia non ci sono 945 personalità all’altezza del compito di parlamentare. Se si guardano i lavori parlamentari si vede infatti che il numero dei deputati e senatori che concorrono al processo legislativo o di controllo parlamentare è limitato. Il rapporto tra elettori ed eletti in Italia è esageratamente basso. In secondo luogo è esperienza comune che assemblee più piccole sono potenzialmente più efficienti: parlano meno persone, c’è meno esibizionismo e più lavoro concreto. Anche perché il grosso del procedimento legislativo avviene nelle commissioni parlamentari e una composizione di 30 deputati e 15 senatori, che risulterebbe dal taglio degli eletti, mi sembra più che sufficiente. Infine c’è un modesto risparmio economico e una democrazia un po’ più austera mi sembra che sia auspicabile.
All’obiezione che con la riduzione dei parlamentari verrebbe danneggiata la rappresentanza di alcuni territori come risponde?
Per la Camera la questione non ha senso: 392 deputati, non considerando gli 8 eletti nella circoscrizione Estero, sono un numero abbastanza ampio per dare rappresentanza a tutti i territori. Il problema al massimo può esserci in Senato e oltretutto solo per quelle due o tre regioni che eleggono un numero minimo di senatori. Qui potrebbe capitare che la maggioranza – locale, che può quindi anche non coincidere con quella nazionale – elegga due senatori su tre o anche tre su quattro. Ma non ci vedo niente di male, quello che conta è poi la media a livello nazionale, senza contare che i cittadini godono di una rappresentanza locale anche attraverso le elezioni comunali e regionali.
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E non crede ci sia il rischio di avere alcune regioni sovrarappresentate rispetto ad altre?
Ma è già così in base alla Costituzione vigente, che stabilisce la distribuzione regionale dei senatori e fissa un numero minimo di senatori eletti per regione. Ci sono così regioni che eleggono molti più senatori di quanto non gli spetterebbe in base alla loro popolazione. Si pensi al caso della Basilicata, che ne elegge il doppio. Non mi pare che questo sia stato un problema finora.
Non pensa che riducendo in questo modo il numero dei parlamentari si seppellisca definitivamente la possibilità di modificare il bicameralismo perfetto italiano, che è un’anomalia a livello europeo? Una Camera da 400 deputati che abbia, solo lei, la funzione legislativa non sarebbe troppo piccola?
Io ho 70 anni e ne ho passati la metà a cercare di riformare il bicameralismo perfetto. Ho votato sì ai referendum sulle riforme costituzionali degli ultimi anni che andavano in quella direzione. Oggi onestamente non vedo esistere neanche alla lontana i presupposti per una riforma del bicameralismo, e in ogni caso non vedo come la riduzione del numero dei parlamentari possa peggiorare le cose. Anzi. Se i cittadini vedessero cambiare qualcosa con il taglio dei parlamentari, e non ne derivassero sconvolgimenti e drammi come invece pronosticano i sostenitori del “no” al referendum, può darsi che si crei un clima più favorevole alle riforme in Italia. A quel punto si potrebbero anche rivedere le istituzioni politiche del Paese, governo e Parlamento in primis.
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