Fiammetta Salmoni, professoressa di Istituzioni di diritto pubblico dell’Università degli studi di Roma Guglielmo Marconi, è tra i cinque promotori di un appello – poi firmato da numerosi costituzionalisti – per votare “no” al referendum confermativo del prossimo 20 e 21 settembre.

Contattata da Pagella Politica ha spiegato che «le nostre ragioni, quelle contenute nel documento scritto coi colleghi, evidenziano un problema che va al di là del taglio lineare alla democrazia o dei risparmi, che sono irrisori, prodotti dalla riforma. Il problema è di carattere giuridico. Una riforma fatta senza mettere contestualmente mano alla legge elettorale, alle parti della Costituzione che disciplinano le commissioni parlamentari, ai regolamenti parlamentari e via dicendo, non è una buona riforma. Il taglio lineare non rende di per sé più efficiente il lavoro del Parlamento, soprattutto perché lascia inalterato il bicameralismo perfetto. Questi sono problemi che non possono essere banalizzati, come invece spesso vedo fare ai sostenitori del “sì” alla riforma».

A che cosa sta pensando in particolare?

Faccio un esempio: si sente dire che la riduzione della rappresentanza di intere aree del Paese non sia un problema, perché tanto ci sono altri organi eletti dai cittadini a livello comunale o regionale. Questa è una tesi sbagliata: la stessa Corte Costituzionale ha chiarito che il luogo della rappresentanza è il Parlamento. Il Parlamento rappresenta l’unità nazionale, i consigli regionali, comunali e via dicendo ricoprono altre funzioni. La riduzione di rappresentanza del Parlamento non può essere compensata dicendo “beh, tanto i cittadini eleggono i consiglieri regionali”.

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Un’altra cosa che si sente dire spesso è che il numero di parlamentari eletti dai cittadini in Italia è molto superiore a quello degli altri grandi Paesi europei.

Ma gli Stati hanno strutture diverse, procedure diverse e diversi sistemi di pesi e contrappesi. Non si possono fare paragoni approssimativi. Dovremmo trovare, per fare una comparazione corretta, un Paese che abbia la stessa forma di Stato e la stessa forma di governo, insomma, le stesse caratteristiche dell’Italia o, quanto meno, molto simili. Invece Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e via dicendo non le hanno. Sono sistemi federali, o presidenziali, o comunque troppo diversi dal nostro per fare un paragone sul numero dei parlamentari eletti.

Prima diceva che il taglio del numero dei parlamentari andrebbe al massimo accompagnato da una serie di altre riforme. Ma questa strada, percorsa in passato ad esempio dai governi Renzi e Berlusconi, non ha mai pagato. Non è allora meglio cominciare dal taglio e riformare dopo la legge elettorale, i regolamenti parlamentari e via dicendo?

Io non firmerei cambiali in bianco. È vero che i tentativi del passato sono falliti, e secondo me la riforma Renzi-Boschi ad esempio era un pasticcio, troppo ampia e sostenuta alla fine solo dalla maggioranza parlamentare (tanto è vero che anche in quel caso ci fu il referendum costituzionale e la riforma non passò). Ma adesso si eccede nel senso opposto, con una riforma non collegata alle altre che pure sarebbero necessarie. Manca una giusta via di mezzo. Se vogliamo fare una riforma del bicameralismo perfetto italiano, secondo me auspicabile, non partiamo dal taglio dei parlamentari con la promessa che poi magari si farà qualcosa. Io ritengo che il Parlamento debba stare al centro del nostro sistema istituzionale e non mi convince la scelta di partire da un suo indebolimento, prima di mettere mano a tutto il resto.

Per quanto riguarda invece la tesi che nel taglio degli eletti vedrebbe un modo per aumentare l’efficienza del Parlamento?

Non mi convince. I procedimenti legislativi, come previsto dai regolamenti parlamentari, sono tanti e le commissioni parlamentari rischierebbero di bloccarsi con un numero troppo esiguo di componenti. Ci sarebbe il rischio di uno stallo. Senza contare che io non vedo un problema di eccessiva lentezza del procedimento legislativo, nel senso che quando la politica ha voluto fare in fretta l’ha fatto anche con l’attuale numero di deputati e senatori. A mio avviso l’ostruzionismo, presentare emendamenti, sono cose che fanno parte della giusta dialettica parlamentare. Al massimo il problema è l’opposto, cioè il depauperamento del parlamento: se il governo pone continuamente la fiducia sui suoi disegni di legge o ricorre sempre più spesso ai decreti legge (cosa che peraltro anche la Corte costituzionale ha stigmatizzato) è chiaro che il parlamento non è più il luogo della decisione politica e questo, in una democrazia, non è un bel segnale.

E meno eletti secondo lei non significherebbe eletti “migliori”?

Non credo. Penso che con il taglio ci sarebbe anzi una cristallizzazione del personale politico parlamentare. La segreterie dei partiti avrebbero ancora più potere e non ne conseguirebbe un miglioramento qualitativo della classe politica.