Da qualche giorno si sta discutendo della mancata istituzione di una “zona rossa” nei comuni di Alzano e Nembro, da cui si è diffusa l’epidemia nella provincia di Bergamo.
Il tema è molto sentito in quanto la provincia di Bergamo risulta essere, anche in base ai dati di inizio aprile, una delle aree d’Italia più colpite dall’epidemia di coronavirus in corso, con quasi 10 mila contagiati (al 5 del mese) e migliaia di morti, non sempre immediatamente quantificabili tramite le statistiche ufficiali.
Della questione ha parlato con l’AdnKronos, il 6 aprile, l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera, secondo cui la Regione non poteva creare una vera e propria “zona rossa” perché, in particolare, non ha le competenze e i poteri necessari per schierare le forze armate o di polizia per far rispettare le limitazioni.
Diversa la ricostruzione data dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha affrontato il tema nella sua conferenza stampa sempre del 6 aprile. Secondo Conte la Regione Lombardia avrebbe potuto, se avesse voluto, istituire una “zona rossa” a Alzano e Nembro. Il governo non lo ha fatto perché, sempre secondo il presidente del Consiglio, ha deciso pochi giorni dopo aver ricevuto la segnalazione della situazione di emergenza nella bergamasca, di imporre il blocco agli spostamenti all’intera Lombardia e aree limitrofe. Ma non ha mai impedito alla Lombardia di agire autonomamente.
Conte ha sostanzialmente ragione: come dimostrano gli esempi di altre regioni – ad esempio l’Emilia-Romagna, a Medicina (Bo), il 15 marzo e la Campania, a Lauro (Av), il 5 aprile – e come stabilito da alcuni articoli della normativa approvata dal governo a fine febbraio, la Regione avrebbe potuto creare una “zona rossa”. Ma come risolvere il problema dell’impiego delle forze dell’ordine per presidiarla?
Andiamo a vedere i dettagli.
La normativa approvata dal governo
Il 23 febbraio il governo, allo scopo di evitare il diffondersi della Covid-19, aveva approvato il decreto-legge n. 6 e il decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) che ne conteneva le disposizioni attuative, e che riguardava in particolare i dieci comuni del Lodigiano (tra cui Codogno), e Vo’ in Veneto.
Gli articoli 1 e 2 del Dpcm definivano le misure che si potevano adottare «nelle aree nelle quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nelle quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio». Cioè nelle cosiddette “zone rosse” (con le limitazioni dei movimenti in tutta la Lombardia queste misure sono venute meno l’8 marzo).
L’articolo 3, che è quello che qui ci interessa, riguardava l’attuazione delle misure previste dagli articolo 1 e 2. Qui si legge che normalmente le misure erano adottate tramite Dpcm, ma che questa non era l’unica opzione. Il comma 2 dell’articolo 3 disponeva infatti che «nei casi di estrema necessità ed urgenza le misure di cui agli articoli 1 e 2 possono essere adottate» in base a una serie di articoli di leggi precedenti [1].
Abbiamo controllato (i link sono nella nota) e queste norme prevedono, in sostanza, la possibilità per i presidenti di Regione (o addirittura per i sindaci) di emettere ordinanze in materia sanitaria.
Dunque, in base alle norme appena viste, era possibile anche per la Regione Lombardia istituire una zona rossa nella bergamasca, già da fine febbraio, con un’ordinanza del presidente Attilio Fontana.
L’uso delle forze dell’ordine nelle altre regioni
Come abbiamo accennato all’inizio, si discute anche se si sarebbe potuto fare ricorso alle forze dell’ordine per presidiare il rispetto delle limitazioni, se la zona rossa fosse stata proclamata dal presidente della Regione con un’ordinanza e non dal governo con un Dpcm.
L’esempio di Medicina (in Emilia-Romagna) – dove la zona rossa è stata tolta a inizio aprile – dimostra come questo sia stato possibile.
Nel testo delle ordinanze della Regione Emilia-Romagna(a pagina 4) e della Regione Campania (a pagina 4) si legge poi che i provvedimenti sono stati adottati «sentite le prefetture competenti» (ricordiamo che i prefetti rappresentano lo Stato centrale presso gli enti locali).
Gallera, all’AdnKronos, ha riferito che «noi ci siamo confrontati anche con i prefetti che ci hanno detto: non potete essere voi a dirci cosa dobbiamo fare. Se siamo in uno Stato ognuno ha le sue competenze. Questa non rientra nelle competenze istituzionali e costituzionali delle Regioni».
Abbiamo contattato il Capo di Gabinetto della giunta emiliano-romagnola, Andrea Orlando, che ha firmato l’ordinanza sull’istituzione della zona rossa a Medicina e ci ha confermato che non è possibile per la Regione dare ordini alle prefetture ma che nell’unità di crisi regionale è presente un rappresentante della prefettura di Bologna, e che da questa è arrivata la disponibilità a impiegare dei propri uomini per presidiare i varchi stradali intorno a Medicina (oltre che per altre, meno stringenti, limitazioni imposte in altre aree del territorio).
Abbiamo quindi provato a contattare la prefettura di Bergamo per avere informazioni sui contatti avuti eventualmente con l’unità di crisi regionale lombarda ma, al momento, non abbiamo avuto risposta. Quando riusciremo a parlare coi rappresentanti dello Stato nel territorio bergamasco ne daremo ovviamente conto.
In base a quanto dichiarato ancora da Gallera a la Stampa il 7 aprile, sembra si possa ipotizzare che – dopo i primi contatti di cui l’assessore ha parlato nell’intervista all’AdnKronos – la Regione non abbia chiesto alla prefettura di attivarsi, nella convinzione che sarebbe stato il governo a procedere nell’istituzione di limitazioni speciali nei comuni epicentro del contagio nella provincia di Bergamo, salvo poi trovarsi «con il cerino in mano».
In conclusione
La Regione Lombardia avrebbe potuto sicuramente istituire una “zona rossa” nei comuni di Alzano e Nembro (in provincia di Bergamo) già da fine febbraio. Altrettanto avrebbe potuto fare il governo.
Circa la possibilità di chiedere l’impiego delle forze dell’ordine per presidiare il territorio e controllare il rispetto delle limitazioni imposte, quanto accaduto in altre regioni dimostra che questo è possibile. Ad esempio in Emilia-Romagna, per il comune di Medicina, la prefettura di Bologna ha dato la propria disponibilità a collaborare con le autorità regionali.
Siamo in attesa di ulteriori informazioni per avere maggiori certezze e dettagli su come mai questo non sia accaduto in Lombardia.
[1] «articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; articolo 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112; e articolo 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».
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