Il 28 novembre, il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha rivendicato su Facebook cinque risultati ottenuti alla guida della Regione, in vista delle elezioni regionali del 26 gennaio 2020.
«Siccome i numeri non sono né di destra né di sinistra – ha scritto Bonaccini – vorrei segnalare questi dati». Dalla disoccupazione alla crescita dell’economia, passando per sanità e turismo, abbiamo verificato punto per punto se quanto affermato dal candidato del centrosinistra corrisponde al vero o meno.
Disoccupazione
«La disoccupazione in Emilia-Romagna negli ultimi quattro anni è scesa dal 9 per cento al 5 per cento»
Secondo i dati Istat sul mercato del lavoro, negli ultimi quattro anni c’è stato un calo della disoccupazione in Emilia-Romagna. Le percentuali citate da Bonaccini sono arrotondate e il calo potrebbe sembrare di quattro punti percentuali in quattro anni.
Ma guardare il primo decimale ridimensiona un po’ il risultato: a fine 2018, il tasso di disoccupazione regionale (oltre i 15 anni di età) era infatti del 5,9 per cento, rispetto all’8,3 per cento del 2014. Un calo dunque di 2,4 punti percentuali, e non del 4 per cento.
Entrambe queste percentuali sono comunque inferiori al tasso di disoccupazione nazionale, attestatosi al 12,7 per cento nel 2014 e al 10,6 per cento nel 2018.
Crescita
«Da cinque anni siamo prima regione per crescita tra tutte le regioni italiane»
Già a settembre 2019 abbiamo verificato questa dichiarazione di Bonaccini, e dalle nostre elaborazioni su dati Istat risulta essere sbagliata.
Ogni anno, a fine dicembre, l’Istat pubblica il rapporto “Conti economici territoriali”, che contiene le percentuali di crescita del Pil delle singole regioni italiane. Queste percentuali, però, sono soggette a variazioni – anche significative – ogni volta che l’Istituto aggiorna i dati di anno in anno.
Per verificare la dichiarazione di Bonaccini, abbiamo così usato la banca dati Istat, che contiene il valore del Pil per ogni regione italiana aggiornato all’ultima edizione disponibile (dicembre 2018). I dati più recenti ci consentono di analizzare il quinquennio che va dal 2013 al 2017. Abbiamo rielaborato in una tabella (qui consultabile) le variazioni di anno in anno.
Nel 2017 il Pil dell’Emilia-Romagna è cresciuto del 2,21 per cento rispetto al 2016, settima regione in classifica. Ai primi tre posti c’erano Lombardia (+3,09 per cento), Veneto (+2,80 per cento) e Calabria (+2,39 per cento).
Nel 2016, con un +2,66 per cento rispetto l’anno precedente, la regione di Bonaccini si era piazzata quarta, dietro Lazio (+3,92 per cento), Veneto (+3,23 per cento) e Lombardia (+2,81 per cento).
Anche tra il 2014-2015 e il 2013-2014 l’Emilia-Romagna non si è mai piazzata al primo posto come regione con maggiore crescita del Pil. Nel 2015, il suo Prodotto interno lordo è aumentato dell’1,98 per cento, decima migliore prestazione tra le 20 regioni italiane. Nel 2014, il + 2,14 per cento dell’Emilia-Romagna si collocava invece al quarto posto.
I dati Istat più aggiornati arrivano fino al 2017. Bonaccini, con la sua dichiarazione, fa però probabilmente riferimento al “Rapporto 2018 sull’economia regionale”, pubblicato dalla Regione Emilia-Romagna e da Unioncamere Emilia-Romagna a dicembre 2018, secondo cui «l’Emilia-Romagna si prospetta al vertice della crescita tra le regioni italiane, sia nel 2018, sia per il 2019».
Questa previsione si basa sulle stime di crescita dei Pil regionali realizzata da Prometeia, un’azienda italiana di consulenza e ricerca economica.
Export
«Siamo prima regione nell’export per quota pro-capite (63 miliardi di euro lo scorso anno)»
I dati citati da Bonaccini sono corretti. Secondo le elaborazioni del Ministero dello Sviluppo economico, nel 2018 l’export dell’Emilia-Romagna ha avuto un valore pari a quasi 63,8 miliardi di euro, seconda regione d’Italia dietro alla Lombardia (prima di misura, con circa il doppio: oltre 127,2 miliardi di euro).
L’Emilia-Romagna sale però al primo posto se si considerano i valori pro capite. Per ognuno dei circa 4,5 milioni di abitanti della Regione, l’export ha un valore pari a oltre 14 mila euro, contro i circa 12 mila e settecento euro degli oltre 10 milioni di cittadini in Lombardia.
Turismo
«Negli ultimi quattro anni le presenze turistiche (sono le notti dormite) sono cresciute da 45 a 60 milioni. La prossima settimana per la prima volta uscirà la guida Lonely Planet dedicata all’Emilia-Romagna»
I numeri citati da Bonaccini cambiano a seconda delle fonti prese in considerazione. Vediamo perché.
Il 27 novembre 2019, l’Istat ha pubblicato il rapporto “Movimento turistico in Italia”, che contiene nelle tabelle in allegato (qui scaricabili) i numeri sulle presenze dei turisti suddivise per ogni regione italiana.
Secondo l’Istat – come confermato anche dall’Ufficio statistico dell’Emilia-Romagna nel suo rapporto annuale sul turismo regionale (qui scaricabile) – nel 2018 le presenze negli esercizi ricettivi (alberghieri ed extra-alberghieri) nella Regione sono state circa 40 milioni e 648 mila, il 9,5 per cento sulle presenze totali in Italia.
Nel 2015, secondo Istat, l’Emilia-Romagna aveva un peso del 9,3 per cento sulle circa 392,5 milioni di presenze totali nel nostro Paese, ossia aveva contato oltre 36 milioni e 530 mila presenze.
Dunque tra il 2015 e il 2018 le presenze sono aumentate di 4,1 milioni circa, +11 per cento. Al di là dei numeri assoluti, un terzo dell’aumento rivendicato da Bonaccini (da 45 a 60 milioni, +33 per cento).
Con “presenza”, spiega l’Istat, si intende il «numero delle notti trascorse dai clienti negli esercizi ricettivi nel periodo di riferimento», la stessa statistica a cui fa riferimento Bonaccini nella sua dichiarazione.
Ma come mai i dati discostano così tanto? Istat parla di un aumento di oltre 4 milioni di presenze in quattro anni, il presidente della Regione di 15 milioni.
La risposta sta nella fonte dei dati: quelli citati da Bonaccini provengono dalle rilevazioni presentate a febbraio 2019 dall’Osservatorio turistico di Regione e Unioncamere Emilia-Romagna in collaborazione con Trademark Italia, un’azienda di consulenze specializzata in ambito turistico.
«La metodologia – spiega il sito della Regione – prevede rivalutazioni periodiche delle statistiche ufficiali realizzate, da una parte, tramite le indicazioni fornite da un panel di oltre 1.300 operatori di tutti i comparti dell’offerta turistica regionale e, dall’altra, tramite le elaborazioni dei dati emergenti da indicatori indiretti come le uscite ai caselli autostradali, gli arrivi aeroportuali, i movimenti ferroviari, le vendite di prodotti alimentari e bevande per l’industria dell’ospitalità, i consumi di energia elettrica e acqua, la raccolta di rifiuti solidi urbani, oltre ad un periodico sondaggio di un campione di turisti nazionali».
La metodologia utilizzata da Istat è invece diversa. «I dati sul Movimento dei clienti sono rilevati attraverso un’indagine totale mensile», spiega l’Istituto nazionale di statistica in una Nota metodologica. «Unità di rilevazione sono gli esercizi ricettivi presenti sul territorio nazionale, ripartiti tra strutture alberghiere e strutture extra-alberghiere. L’indagine è intermediata e la raccolta dei dati è affidata agli organi intermedi. La rilevazione viene condotta secondo le regole contenute nelle circolari annuali dell’Istat».
Ricapitolando: un aumento del turismo c’è stato in Emilia-Romagna, ma le rilevazioni a cui fa riferimento Bonaccini tengono conto di elementi diversi, e più generosi, rispetto a quelli conteggiati da Istat nelle sue pubblicazioni annuali.
Sulla «guida Lonely Planet dedicata all’Emilia-Romagna», Bonaccini ha invece ragione.
Come conferma il sito ufficiale dell’editore, a dicembre 2019 è prevista l’uscita la prima edizione della guida di viaggio esclusivamente dedicata all’Emilia-Romagna. La pubblicazione è stata celebrata il 28 novembre scorso dallo stesso Bonaccini, in una presentazione a cui erano presenti anche i cinque autori del volume.
Sanità
«Il Governo gialloverde, che vedeva tra le sue fila anche la mia avversaria, indicò prima dell’estate l’Emilia-Romagna quale regione benchmark nella sanità pubblica Italiana, cioè punto di riferimento per la qualità della sua sanità»
L’affermazione è sostanzialmente corretta anche se sono necessarie alcune precisazioni.
A febbraio 2019, la Conferenza Stato-Regioni ha scelto Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna come regioni benchmark per la sanità, ossia quelle regioni che vengono usate come punto di riferimento (benchmark, appunto) per stabilire i costi e i fabbisogni standard da utilizzare nel riparto del Fondo sanitario nazionale tra le varie regioni italiane per il 2019.
Dunque, l’indicazione è arrivata durante lo scorso governo Lega-M5s, ma non direttamente dall’esecutivo gialloverde.
È però vero che la scelta della Conferenza è stata fatta sulla base di un’indicazione di gennaio 2019 del Ministero della Salute, che aveva ristretto la rosa delle possibili regioni benchmark a sei candidate (tra cui l’Emilia-Romagna).
Queste ultime erano le regioni che rispettavano i criteri di qualità per i servizi erogati, in base a dati di valutazione aggiornati al 2016, quando Bonaccini era già presidente della Regione.
Conclusione
In un post su Facebook, il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha rivendicato cinque risultati della sua presidenza, commettendo però alcuni errori.
Bonaccini ha infatti esagerato la crescita dell’economia registrata negli ultimi anni, mentre i dati sull’export pro-capite corrispondono al vero. Tra il 2014 e il 2018, il tasso di disoccupazione regionale è poi sceso del 2,4 per cento, e non del 4 per cento.
Sull’aumento delle presenze turistiche, è vero che dal 2015 c’è stata una crescita, ma secondo i dati Istat non così grande come quella indicata da Bonaccini, che fa molto probabilmente riferimento a rilevazioni diverse da quelle dell’Istituto nazionale di statistica.
Infine, è vero che durante lo scorso governo la Regione Emilia-Romagna è stata indicata come regione benchmark – insieme a Veneto e Piemonte, due regioni a guida centrodestra – per calcolare la suddivisione delle risorse del Fondo sanitario nazionale per il 2019.
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