Negli ultimi giorni diversi quotidiani hanno sollevato l’ipotesi che alcune regioni, a causa dell’attuale quarta ondata di Covid-19, possano cambiare colore, con nuove restrizioni per contenere l’aumento dei contagi. Ad oggi le regioni messe peggio sono il Friuli-Venezia Giulia e la provincia autonoma di Bolzano.

A poco più di un anno dalla sua introduzione, il sistema a colori presenta però ancora due grossi limiti, che abbiamo analizzato più nel dettaglio in passato: il modo in cui è conteggiata la pressione sugli ospedali e il modo in cui possono essere interpretate le norme.

– Leggi anche: Cinque grafici per capire la quarta ondata di Covid-19

Le regole per il cambio di colore

L’ultima modifica al sistema a colori è stata introdotta a luglio dal governo Draghi, con un decreto-legge. Oggi il cambio di colore è determinato da tre indicatori: l’incidenza settimanale dei contagi ogni 100 mila abitanti, la percentuale di posti letto in terapia intensiva occupati da pazienti positivi al coronavirus e quella relativa all’occupazione nei reparti in “area medica”, ossia quelli di malattie infettive, medicina generale e pneumologia.

Quando tutti e tre gli indicatori superano una determinata soglia, allora una regione cambia colore, con l’introduzione di misure più restrittive (che per la zona gialla sono comunque meno severe di quelle in vigore lo scorso autunno). Non basta dunque che uno o due indicatori superino le soglie corrispondenti, ma devono superarle tutti e tre. Se anche un solo indicatore rimane sotto la soglia, la regione non cambia colore.

Ad oggi per entrare in zona gialla bisogna avere un’incidenza settimanale di oltre 50 contagi ogni 100 mila abitanti, un’occupazione delle terapie intensive superiore al 10 per cento e quella negli altri reparti superiore al 15 per cento. Per entrare in zona arancione bisogna invece avere un’incidenza settimanale di oltre 150 contagi ogni 100 mila abitanti, un’occupazione delle terapie intensive superiore al 20 per cento e quella negli altri reparti superiore al 30 per cento. Si finisce infine in zona rossa se l’incidenza è di oltre 15o contagi ogni 100 mila abitanti, se l’occupazione delle terapie intensive è superiore al 30 per cento e quella degli altri reparti superiore al 40 per cento.

I problemi rimangono gli stessi

Così come è attualmente concepito il sistema a colori ha diversi limiti, di cui abbiamo scritto in passato in altre analisi. I problemi principali riguardano i dati sull’occupazione dei posti letto negli ospedali – che vanno presi con molta cautela – e le interpretazioni che vengono date alle regole, scritte nero su bianco nelle leggi.

I limiti dei dati sull’occupazione degli ospedali

Partiamo dalla questione relativa ai posti letto. Nella sua versione attuale l’indicatore dell’occupazione ospedaliera ha due limiti. In primo luogo, tra i cosiddetti “pazienti Covid-19”, sono conteggiati solo i pazienti positivi al coronavirus e non i pazienti negativizzati, che però sono finiti in ospedale proprio a causa del virus nei giorni successivi al contagio.

In secondo luogo, le regole rischiano di incoraggiare le regioni a convertire – da un all’altro e a seconda del bisogno – i posti letto dei reparti in area medica in posti letto per pazienti Covid-19. In questo modo si aumenta il numero dei posti letto a disposizione, facendo scendere l’indicatore della pressione sui reparti.

Questa scelta però rischia di limitare l’attività ospedaliera e di far nascere una situazione contraddittoria. Togliendo i posti letto ad altri reparti, si finisce per evitare misure restrittive pensate proprio per evitare che la pressione sugli ospedali aumenti. In questo modo si sposta il rischio di pressione sui reparti dedicati ad altre patologie, che non rientrano nel monitoraggio Covid-19.

Negli ultimi giorni sono arrivate nuove notizie sulla limitata affidabilità delle statistiche sull’occupazione ospedaliera. Il 10 novembre, per esempio, il Tgr della provincia autonoma di Bolzano ha rilevato che in questa zona non sono più diffusi i dati sui ricoverati Covid-19 nelle cliniche private, che quindi non vengono conteggiati nelle statistiche ufficiali.

Non tutto è scritto nero su bianco

Oltre al problema dei dati sull’occupazione ospedaliera, c’è poi quello delle interpretazioni delle regole, contenute nelle leggi, da parte di chi decide i colori: il Ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità (Iss). Nell’ultimo anno, alle varie versioni del sistema a colori, si sono affiancate infatti decisioni prese secondo prassi e interpretazioni non scritte nero su bianco nelle norme.

A metà settembre, per esempio, la Regione Calabria è riuscita a evitare la zona gialla perché le autorità hanno preso in considerazione dati più aggiornati sull’occupazione delle terapie intensive – relativi al giovedì e non al martedì – cambiando la prassi seguita fino a quel momento.

Dunque, nonostante una parte delle decisioni sui colori poggi su quanto stabilito nei decreti del governo, un’altra parte dipende dal modo in cui, ogni settimana, chi decide i colori interpreta le leggi. In questo modo il funzionamento del sistema è tutt’altro che immediato.

Prima di concludere, ricordiamo che, una volta saliti di colore – per esempio passando in zona gialla – per tornare in zona bianca bisogna mantenere per 14 giorni gli indicatori validi per quest’ultimo colore

«Il sistema a colori è caratterizzato da ritardi nell’applicazione di misure restrittive e un’attesa maggiore nel tornare a situazioni con minori restrizioni, sebbene al momento abbia le caratteristiche per essere basato su un monitoraggio più tempestivo», ha scritto il 6 ottobre in un’analisi per Pagella Politica Vittorio Nicoletta, dottorando in sistemi decisionali e analisi dei dati all’Università Laval, in Canada. Un’osservazione che ancora oggi resta valida.

In conclusione

L’arrivo della quarta ondata di Covid-19 in Italia ha riportato di attualità il sistema a colori, con alcune regioni che rischiano di tornare in zona gialla. I due limiti principali di questo sistema, che abbiamo analizzato già negli scorsi mesi, non sono però stati risolti.

Da un lato, grande peso negli indicatori per il cambio di colore è dato all’occupazione ospedaliera, anche se il conteggio dei numeri dei posti letto va preso con molta cautela. Dall’altro lato, non tutto il funzionamento del sistema a colori è regolato da norme scritte nero su bianco. Alcune scelte, prese dal Ministero della Salute e dall’Istituto superiore di sanità, seguono prassi e non regole ferree, rendendo il funzionamento delle restrizioni non immediato.