Come leggere senza errori i dati sull’efficacia dei vaccini

Pagella Politica
Dal 6 agosto in Italia il green pass – che si ottiene con almeno una dose di vaccino, un test negativo o la guarigione dalla malattia – è diventato obbligatorio per accedere ad alcuni luoghi a rischio assembramento, come i ristoranti al chiuso, le palestre e i musei. Con questa scelta, uno degli obiettivi del governo è quello di aumentare il numero dei vaccinati nel nostro Paese. Ad oggi oltre il 65 per cento della popolazione italiana ha ricevuto almeno una dose del vaccino, mentre il 55 per cento è stato completamente immunizzato.

Come abbiamo spiegato più volte in passato, molte evidenze scientifiche hanno mostrato che i vaccini sono efficaci nel ridurre il contagio, le forme gravi della malattia, le ospedalizzazioni e i decessi. Ma nel leggere i dati che stanno circolando molto nelle ultime settimane, bisogna fare attenzione a non commettere errori. Vediamo perché.

Occhio ai valori assoluti

Ogni settimana l’Istituto superiore di sanità (Iss) pubblica i dati dei nuovi contagiati, dei ricoveri, degli ingressi in terapia intensiva e dei decessi degli ultimi 30 giorni, divisi per lo status vaccinale. A partire da questi dati si calcola l’efficacia vaccinale, ossia la capacità dei vaccini di ridurre il rischio, per esempio, di ammalarsi o morire (ci torneremo meglio più avanti).

I numeri assoluti di vaccinati e non vaccinati sono ingannevoli perché si riferiscono a popolazioni di dimensione diversa. Per esempio, nell’ultimo rapporto pubblicato dall’Iss il 6 agosto, al 17 luglio il 36 per cento della popolazione con più di 12 anni (ossia quella vaccinabile) aveva completato il ciclo vaccinale, il 24 per cento attendeva la seconda dose e il 40 per cento non era ancora stato vaccinato [1].

Per avere una misura indicativa dell’efficacia dei vaccini bisogna invece considerare le incidenze nelle rispettive popolazioni, per poi osservare la riduzione dell’incidenza nelle diverse fasce di età.

Facciamo due esempi pratici, usando le ospedalizzazioni e i decessi tra chi ha più di 80 anni, che è la fascia anagrafica maggiormente vaccinata nel nostro Paese e la più a rischio quando viene a contatto con il virus.

Un esempio sui ricoveri

In Italia, tra il 25 giugno e il 25 luglio, ci sono state 360 persone con più di 80 anni che hanno avuto una diagnosi di positività e che nei giorni seguenti sono state ospedalizzate. Di queste 360, 156 non erano vaccinate, 17 erano in attesa della seconda dose e 187 erano completamente vaccinate. A prima vista quindi il vaccino non sembrerebbe essere molto efficace.

Ma se dividiamo questi dati per la popolazione over 80 vaccinata vediamo che gli over 80 non vaccinati avevano un’incidenza di 36,6 ospedalizzazioni ogni 100 mila persone non vaccinate, quelli in attesa di seconda dose un’incidenza di 10,4 ogni 100 mila e i completamente vaccinati di 4,7 ogni 100 mila. L’incidenza tra i non vaccinati è quindi pari a quasi otto volte quella dei completamente vaccinati.

Questo significa che un vaccinato ha avuto una probabilità dell’80 per cento in meno di un non vaccinato di essere ospedalizzato quando è venuto a contatto con il coronavirus.

Un esempio sui decessi

Lo stesso calcolo si può ripetere sui decessi tra chi aveva più di 80 anni e una diagnosi di positività tra l’11 giugno e l’11 luglio. Qui ci sono 48 decessi tra i non vaccinati, 4 tra coloro che erano in attesa di seconda dose e 29 tra chi era completamente vaccinato. Se si rapportano i dati alle rispettive popolazioni, si scopre che ci sono stati 11,3 decessi ogni 100 mila non vaccinati, 2,4 ogni 100 mila persone in attesa di seconda dose e 0,7 ogni 100 mila persone completamente vaccinate.

Una persona di 80 anni completamente vaccinata ha avuto il 96 per cento in meno di probabilità di morire rispetto a una non vaccinata nel lasso di tempo considerato.

Il paradosso delle vaccinazioni

I numeri assoluti possono quindi portare a un effetto paradossale in cui sembra che il vaccino non funzioni perché i numeri di infezioni, ospedalizzazioni e decessi sono simili tra persone vaccinate e non vaccinate.

Questo effetto si rafforza all’aumentare della popolazione vaccinata, fino a che non si arriva al punto in cui tutti sono vaccinati e quindi tutti i decessi avvengono nella parte di popolazione completamente vaccinata.

Facciamo nuovamente un esempio pratico. Abbiamo mille persone anziane che vengono a contatto con il virus, con un tasso di letalità del 10 per cento. Abbiamo un vaccino efficace al 90 per cento nel prevenire i decessi e un tasso di vaccinazione che varia nel tempo.

Quando è vaccinato il 10 per cento della popolazione, l’1 per cento dei decessi sarà tra persone vaccinate; quando avremo vaccinato il 30 per cento, della popolazione i decessi tra i vaccinati saranno il 4 per cento; quando avremo vaccinato il 50 per cento della popolazione, i decessi tra i vaccinati saliranno al 9 per cento. I decessi tra vaccinati continueranno a crescere a un ritmo sempre maggiore fino a diventare la maggioranza nel momento in cui si è vaccinato il 90 per cento della popolazione e la totalità quando si è vaccinato il 100 per cento.

Questo effetto paradossale si rafforza quando si confrontano i dati senza distinzione tra le fasce di età, perché gli anziani sono i più a rischio e i più vaccinati, mentre i giovani sono i meno a rischio e i meno vaccinati. Un piccolo numero di ospedalizzazioni o decessi tra anziani vaccinati può essere superiore al numero che si ha tra i giovani non vaccinati, avendo questi ultimi una bassa probabilità di sviluppare forme gravi di Covid-19. Come abbiamo spiegato in passato, rispetto a una persona di 30 anni, una di 50 anni ha otto volte in più la probabilità di morire se contrae la Covid-19, uno di 60 anni 19 volte, uno di 70 anni 68 volte e uno di 80 anni 320 volte.

Quanto sono efficaci i vaccini

Ogni settimana l’Iss fornisce anche l’efficacia dei vaccini a partire dai dati osservati dal 4 aprile in poi. Secondo le stime più recenti dell’istituto, l’efficacia dei vaccini di chi non ha ancora completato il ciclo vaccinale è pari al 64,6 per cento per le diagnosi, dell’81,6 per cento per le ospedalizzazioni, dell’89,2 per cento per i ricoveri in terapia intensiva e dell’80,7 per cento per i decessi.

L’efficacia per chi ha invece completato il ciclo vaccinale è dell’84,7 per cento per le diagnosi, del 94,9 per cento per le ospedalizzazioni, del 97,1 per cento per i ricoveri in terapia intensiva e del 96,6 per cento per i decessi.

Come abbiamo anticipato prima, bisogna ricordare che l’efficacia è intesa come la riduzione del rischio per la singola persona. Se una persona anziana non vaccinata ha una probabilità del 10 per cento di morire, una completamente vaccinata avrà una probabilità dello 0,34 per cento.

In conclusione

I dati sui vaccini, che ormai da tempo stanno trovando ampio spazio tra i politici e sui giornali, vanno letti con attenzione.

Per esempio, quando si guardano le statistiche su casi, ospedalizzazioni e decessi divisi per lo status vaccinale, non bisogna guardare ai valori assoluti, ma alla loro incidenza in relazione alla popolazione divisa per status vaccinale.

È poi normale che al crescere del numero di persone vaccinate aumenterà la quota di persone completamente vaccinate che vengono ricoverate o muoiono. Il vaccino, anche se protegge estremamente bene, non è infatti perfetto e qualcuno continuerà a contagiarsi anche se vaccinato.




[1] Nei dati dell’Iss è classificato come “non vaccinato” chi non ha ricevuto nessuna dose o una dose da meno di 14 giorni, come “vaccinato in modo incompleto” chi ha ricevuto solo una dose e come “completamente vaccinato” chi ha completato il ciclo da almeno 14 giorni.

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